Con l’indizione del Sinodo sulla sinodalità, Papa Francesco invita la Chiesa a mettersi in ascolto perché possa intercettare le domande che la Parola di Dio, ma anche gli uomini e le donne di oggi, credenti e no, pongono alla Comunità cristiana perché torni ad essere strumento di salvezza. Questo invito è particolarmente importate perché la Chiesa (senza volerlo) sembra essere diventata sorda alle istanze degli uomini e delle donne di oggi e procedere con letture della realtà e schemi pastorali desueti che allontanano il Vangelo dalla vita, tarpandole le ali e privandola della possibilità di fiorire.
L’invito all’ascolto si abbina con la frequente condanna del clericalismo, che Papa Francesco talora presenta come una forma di chiusura, di allergia all’altro e di sordità spirituale da parte di coloro che sono stati chiamati nella Chiesa ad esercitare un ministero sacro. Ricordo che quando dopo il Concilio furono istituiti i primi Consigli presbiterali, molti sacerdoti vissero con grande entusiasmo questa opportunità di ascolto e di confronto nella Chiesa, ma ricordo anche la reazione di qualche Vescovo, che attaccandosi al valore “consultivo” di tali dibattiti, li accolse talora col cinismo dell’uomo di potere, che lasciava sfogare i preti, consapevole che alla fine il potere decisionale rimaneva nella sue mani. Mi raccontò un sacerdote che l’Arcivescovo Michele Giordano partecipando ad un infuocato dibattito del Consiglio presbiterale della sua diocesi, ascoltava in silenzio, commentando sottovoce con un anziano sacerdote che gli stava vicino: “Lasciali parlare, tanto alla fine decido io!”. Purtroppo la stessa scena spesso si è ripetuta nelle parrocchie, da parte dei preti nei confronti dei membri del Consiglio pastorale o degli Affari economici (nei casi in cui sono stati attivati), ma spesso chi è malato di clericalismo considera gli organismi di partecipazione ecclesiale come inutili orpelli, talora vantandosi di farne a meno.
La mentalità clericale crea un grosso equivoco sul valore consultivo degli organismi di partecipazione, che sono tali per affermare che la Chiesa non è una democrazia parlamentare, ma una famiglia, in cui non ci si contrappone o si lotta per affermare il proprio punto di vista o il proprio interesse, ma ci si ascolta nell’amore e nella consapevolezza che ogni persona è un valore e che chi sta a capo è chiamato ad esercitare un ruolo “paterno”, teso non ad affermare la propria volontà, ma ascoltare tutti per fare il bene della famiglia stessa.
Purtroppo il clericalismo riafferma nella Chiesa rapporti di potere e schiaccia la dimensione familiare, che è costitutiva del Popolo di Dio, chiamato ad essere un’umanità nuova sul modello delle relazioni alte presenti nella Trinità.
Eppure è proprio l’ascolto che costruisce la Chiesa. Negli anni del mio episcopato, durante la Visita Pastorale e il Sinodo, la partecipazione ai vari momenti di ascolto programmati ha fatto vivere a me e alla gente meravigliose esperienze ecclesiali. Ricordo con gioia il lavoro dei Gruppi di studio e delle varie Commissioni preparatorie; gli incontri con tutte le associazioni e i gruppi di ogni parrocchia; i Centri di ascolto nella famiglie (ne ho animati più di 120!) in cui la Parola di Dio non serviva solo a istruire, ma educava ad ascoltarci tra noi; le belle celebrazioni comunitarie in cui ogni gruppo presentava la sue riflessioni e le sue preghiere; le nutrite assemblee di Forania (bellissime quelle delle foranie periferiche quali Ailano, Piana di Monte Verna!); le assemblee sinodali generali in Cattedrale…. Un lungo allenamento all’ascolto che ci faceva crescere e ci regalava la gioia di essere una Comunità diocesana, non governata solo da una casta clericale. (A tale riguardo penso con molta tristezza a quanti hanno presentato il Sinodo diocesano come un’operazione calata dall’alto: il clericalismo arriva anche alla menzogna e alla disonestà!).
L’esperienza bellissima, vissuta in questi momenti, mi ha convinto che la dimensione dell’ascolto non la si proclama, ma si programma. E soprattutto occorre individuare i luoghi e i momenti in cui esercitarla. Inoltre, non è possibile viverla in una diocesi in cui la vita ecclesiale è appannaggio di una casta pretesca e non è frutto di decisioni maturate comunitariamente, oppure quando non esistono i Consigli pastorali o quelli degli Affari economici o esistono solo sulla carta. L’ascolto non è una velleità ma un esercizio costante, maturato nelle strutture opportune. Quando queste mancano, domina la mentalità clericale del parroco-duce e il conseguente clericalismo diventa la negazione di una Chiesa che vive come famiglia.
Dobbiamo ringraziare papa Francesco di aver indetto il Sinodo sulla sinodalità ed aver coinvolto tutte le Chiese locali, stimolandole a porsi in ascolto. Mi auguro che da tale scelta ognuno nella Chiesa possa scoprire la gioia di appartenere ad una umanità nuova che il Padre convoca perché sia anima e fermento del mondo. Auspico altresì che, liberandosi dalle pastoie del clericalismo, tanti sacerdoti scoprano la bellezza della propria vocazione. A me la Visita pastorale, la celebrazione del Sinodo diocesano e i vari momenti istituzionali di incontro e di confronto – facendomi vivere l’esperienza dell’ascolto – hanno fatto capire la mia missione di vescovo. Spero che col Sinodo di Papa Francesco il Signore conceda a tanti questa grazia, che dona vigore e passione alla Chiesa e alimenta nuove speranze per tutti.