Papa Francesco continua a stimolare la Chiesa a rinnovarsi per parlare all’uomo d’oggi. Nella Evangelii Gaudium, documento programmatico di inizio Pontificato, usa al riguardo il termine “conversione pastorale” (EG 27); successivamente a Firenze, in occasione del Convegno Ecclesiale della Chiesa Italiana (2015), ha sollecitato i cattolici del nostro Paese a farsi protagonisti di un nuovo umanesimo; ultimamente ha chiesto che la Chiesa italiana celebri un Sinodo: un grande convenire di consacrati e laici per riproporre il volto autentico della Comunità cristiana alla società contemporanea, sempre meno partecipe della sua vita. Ho cercato di immaginare la Chiesa del futuro.
A tal proposito, mi sono domandato spesso perché la gente 70 anni fa frequentava quasi in massa la Messa festiva e le manifestazioni religiose. Non mi pare fosse motivata dal desiderio di crescere nella comunione e nella fraternità, ponendosi in ascolto della Parola di Dio e spezzando insieme il Pane, ma piuttosto per adempiere un precetto, per non peccare trasgredendolo, per paura dei castighi di Dio, per salvarsi l’anima, per pregare per i defunti… Si trattava, in genere, di una presenza molto passiva, che per i più mirava a vincere le paure e a “togliersi il pensiero”. Infatti, eccetto a Pasqua, e per obbedire ad un altro precetto, o in occasione di devozioni come i “primi venerdì del mese”, che promettevano sicuri premi di salvezza a chi li praticava, normalmente all’Eucarestia si accostavano pochi fedeli. Tuttavia i buoni esempi dei sacerdoti e delle famiglie hanno formato generazioni di cristiani.
Ho l’impressione che l’introduzione della lingua volgare nella liturgia abbia poco scalfito quelle motivazioni della partecipazione alla Messa festiva che rimangono identiche, anche se meno cogenti per le nuove generazioni, che pertanto la vivono quasi esclusivamente come occasione per far festa e onorare i defunti.
Eppure i sacerdoti continuano a chiedere ai cristiani la partecipazione ai riti festivi, a colpevolizzare gli inadempienti, a moltiplicare riti cristiani spesso per persone praticamente atee, a servirsi della pietà verso i defunti o delle tradizioni popolari per attirare in Chiesa persone che oggi comprendono sempre meno il significato della Messa, e ancor meno quello dell’Eucarestia… Del resto, crollata la trasmissione della fede in famiglia, le strutture formative ecclesiali risultano sovente improvvisate e desuete, nonostante il grande movimento del rinnovamento della catechesi avviato in Italia dopo il Concilio, l’impegno generoso e competente di molti catechisti e catechiste e la presenza nel tessuto ecclesiale italiano di numerose e valide associazioni laicali dedite alla formazione cristiana. Ho potuto constatare tale preoccupante situazione durante la Visita pastorale nella mia diocesi e nel corso del mio servizio come Delegato per la Catechesi nella Conferenza Episcopale Campana, quando sono venuto a contatto con la catechesi concreta delle nostre parrocchie.
Cosa fare? Alla fine del Vangelo di San Matteo (28,19) Gesù invita gli apostoli ad “andare”; “ammaestrare tutte le nazioni”; “battezzandole”.
Sono tre movimenti precisi che definiscono l’azione della Chiesa. Ma ho l’impressione che tante nostre realtà ecclesiali obbediscano solo in parte al mandato di Gesù, privilegiando quasi esclusivamente il terzo movimento, quello sacramentale (“battezzandole”), ignorando gli altri due “andate” e “ammaestrate” e presentando pastori che sovente vivono in disparte, alla stregua di funzionari, e si limitano a rari e spesso poco qualificati momenti di annuncio del Vangelo, mentre appaiono preoccupati quasi esclusivamente di celebrare (per pochi) la Messa quotidiana in suffragio dei defunti, ignorando rassegnati le pecore che “non sono di questo ovile”, cioè i figli e nipoti dei nostri fedeli per i quali la Chiesa ha perso quasi ogni significato.
Papa Francesco ci dice di cambiare questa prassi stanca (e ahimè purtroppo comoda!), invitando i pastori ad “andare”, cioè a stare tra la gente (“con l’odore delle pecore”), cioè a girare per la parrocchia inventandosi ogni occasione per essere presente, semplicemente presente, nei luoghi di vita e non soltanto per celebrare riti ufficiali, presentandosi come personaggi importanti sul parterre. Questo modo di fare pastorale, Francesco lo chiama “Chiesa in uscita”: cioè alla gente si va, non la si aspetta in chiesa come funzionario di un ufficio.
E poi, rimane l’obbligo primario di annunciare il Vangelo in ogni modo per far confrontare la gente con l’umanità vera di Gesù e farla crescere. Tale annuncio non può limitarsi a qualche omelia o a qualche incontro con gli “aficionados” delle nostre parrocchie…
Come sarebbe bello se il prete invece di moltiplicare Messe, durante la settimana, avviasse nelle famiglie centri di ascolto del Vangelo! La mia esperienza, condivisa positivamente con alcuni dei miei sacerdoti mi confermava dalla loro stessa voce quanto fosse un momento atteso, accolto, vissuto con profondità dalla gente.
La Messa festiva, allora, diventerebbe il momento felice in cui si incontrano persone che ascoltando la Parola sono diventati più amici e che intorno all’Eucarestia diventano ogni domenica più fratelli.
È un sogno? Io immagino così la Chiesa di domani.
Sono convinto che il Signore stia permettendo la distruzione di un cristianesimo non molto autentico, per costruire una comunità cristiana che si impasti nel mondo come “fermento e anima” e lo faccia crescere in umanità vera, quella che sogna il Padre.
+ don Valentino