Nel corso della mia vita ho incontrato tanti proprietari di casa e, soprattutto in città, qualche amministratore di condominio, e ho avuto la possibilità di studiare i diversi modi di porsi di fronte al bene più caro di molti italiani. Soprattutto nel padre, proprietario di casa, ho sempre notato la passione per la propria abitazione, la preoccupazione che essa potesse offrire tutti i comfort perché le persone care, vi vivessero comodamente e decorosamente e, quindi, il desiderio di migliorarla, spesso informandosi circa le modifiche buone apportate dai vicini, per introdurle nella propria dimora. Per la casa il padre è disposto a far sacrifici ed anche ad indebitarsi, senza lamentarsi o far pesare la cosa sulla sua famiglia, pago soltanto dell’apprezzamento e della gioia che i suoi sacrifici producono nella vita domestica.
Di fronte allo stesso bene, molto diverso è l’atteggiamento dell’Amministratore di condominio. Il suo non è un rapporto affettivo, ma interessato e formale. Conseguentemente la preoccupazione principale è far quadrare il bilancio. Preferisce occuparsi della sola ordinaria amministrazione, non si entusiasma per la qualità del bene-casa e considera rogne e non opportunità le eventuali riparazioni o migliorie. Normalmente partecipa alle riunioni non con il desiderio di coinvolgere in progetti, ma con la voglia di concluderle senza strascichi e nel più breve tempo possibile. Talora si rende disponibile a innovazioni, ma soltanto in funzione della sua immagine e della stima che gliene può derivare per accrescere la clientela e i suoi guadagli. Si mostra offeso quando i condomini rilevano la sua poca passione per il bene amministrato. Vorrebbe essere elogiato anche per quello che non fa ed essere trattato da benefattore.
Al padrone di casa piace stare a casa, mentre l’amministratore affigge avvisi, dà ordini, ricorda scadenze senza essere sul posto, ritenendo il contatto umano con gli inquilini superfluo e fastidioso.
Quella del padrone di casa e dell’amministratore del condominio, sono due logiche che si contrappongono, ma puntualmente si ripropongono nei contesti più disparati.
Trasferendoci in ambito ecclesiale, sono fermamente contrario alle lunghe Amministrazioni Apostoliche delle Diocesi, che trasformano la vita di una Chiesa locale in qualcosa da gestire e da rendicontare da parte di chi – strutturalmente – non è coinvolto affettivamente nella realtà di cui si occupa. Anche se vengono usati termini come Padre, Pastore…., in effetti chi è investito di tale compito si trova nelle condizioni di un freddo esecutore testamentario di fonte a beni che grondano affetti, fatiche, ricordi, con la tentazione di essere superficiale, decisionista o sbrigativo. Potrebbero fare la differenza, lo spessore spirituale del personaggio incaricato e la sua passione per il Regno, ma indipendentemente da questi ultimi aspetti la situazione è oggettivamente non coinvolgente.
La Diocesi di Alife-Caiazzo ha subito per ben tre volte (quattro o cinque se consideriamo la lunga sede vacante – dal gennaio 1998 a maggio 1999 – tra Mons. Nicola Comparone e mons. Pietro Farina e la lunga gestione di quest’ultimo – più di un anno – una volta nominato vescovo di Caserta) questo provvedimento, che l’ha molto danneggiata in passato, facendo disperdere entusiasmi valori e beni culturali solo in parte recuperati dall’azione meritevole di Mons. Angelo Campagna (e di qualche suo successore), che ha dovuto ricostruire una chiesa a partire da due monconi abbandonati e mal ridotti. L’ultima tragica esperienza di Amministrazione Apostolica la nostra Diocesi l’ha subita recentemente. Al di là dell’azione più o meno incisiva del vescovo amministratore, quella che era una chiesa lanciata verso una normalità ecclesiale si è trovata sola e orfana, senza prospettive e idee, con un futuro incerto, del quale nessuno parlava, e trattata come un’azienda in cui i problemi importanti erano quelli economici e tutto il movimento di rinascita ecclesiale avviato in mano a chi, non sentendosi investito di paternità reale, drammatizzava e accoglieva con malcelato fastidio e con la tendenza a colpevolizzare ogni questione normale, propria di ogni diocesi.
Il vantaggio di questa ultima Amministrazione Apostolica, rispetto alle lunghissime esperienze precedenti, è stato quello che è durata meno di due anni. L’entusiasmo e la vitalità della diocesi nei mesi successivi alla nomina del nuovo Pastore, finalmente vescovo (anche se di due diocesi) e quindi investito di paternità reale, al di là delle qualità personali e della grande esperienza pastorale, è stata la risposta al desiderio di paternità e di famiglia, fortemente presente nei sacerdoti e nel Popolo di Dio e purtroppo frustrato nella situazione precedente.
Considerando che negli ultimi 60 anni la Diocesi di Alife-Caiazzo è stata complessivamente per 19 anni senza Vescovo, il progetto di Papa Francesco di creare una grande diocesi nell’Alto casertano, pur esigendo molta generosità e molto discernimento dal Vescovo, dai Presbiteri e dal Popolo di Dio, ritengo che sarà foriero di buoni frutti e avrà almeno il vantaggio di non sottoporre in futuro le nostre piccole chiese ad esperienze di provvisorietà e a momenti di vuoto, malamente gestiti, per i quali finora hanno pagato un prezzo troppo costoso e umiliante.
+ don Valentino