A casciaforte, è il titolo di una famosa canzone napoletana, eseguita spesso da Roberto Murolo, definita da qualcuno “comica amara” che narra la tristezza di un napoletano che vede scomparire l’atmosfera romantica della città per l’avanzare di un modernismo senza scrupoli. Vuol comprare una cassaforte. Perché? “Ce aggia mettere tutt’e lettere che mi ha scritto Rosina mia… nu ritratto (formato tessera) d’a bbonanema e zi’ Sufia…, nu cierro ‘e capille, nu cuorno’e curallo, ed il becco di un pappagallo che noi perdemmo nel ventitré…”
Cose, come si vede, di nessun valore, ma non per il protagonista della canzone che in esse vede testimonianze di una esistenza felice e messaggi intensi, che per lui sono fonte di identità e promessa di vita, cosa che a chi è esterno alla sua famiglia non è dato di cogliere.
Scopro sempre di più che le canzoni napoletane, anche quelle apparentemente leggere, esprimono una sapienza profonda, che può diventare criterio interpretativo del vivere. Non sono un esperto del genere, ma da qualche tempo qualcuna mi aiuta a capire anche argomenti di fede.
Ascoltando questa canzone ho compreso meglio perché la Chiesa afferma che la Sacra Scrittura va letta all’interno della Tradizione ecclesiale e non sottoposta al “libero esame”, come sosteneva Martin Lutero che ne affidava l’interpretazione alla ragione individuale del fedele, assistito dallo Spirito Santo.
È chiaro! Soltanto chi vive lo spirito di famiglia e fa parte della Comunità ecclesiale riesce a cogliere la ricchezza delle testimonianze e dei messaggi che la Scrittura racchiude. Fuori di quel contesto, quanto è scritto nei Libri che compongono la Bibbia potrebbe apparire insignificante, come le “lettere di Rosina mia” che a chi le esaminasse da professore, probabilmente apparirebbero testi ingenui e ripetitivi (forse zeppi di errori), ma che letti dall’uomo della vita esprimono la verità della cose, cioè una ricchezza straordinaria di ricordi e di significati, evidenziata dai legami di affetto e dalla storia vissuta insieme. Similmente, il ritratto di Zia Sofia ed il becco del pappagallo, che ad un estraneo appaiono come cianfrusaglie da buttare, per il personaggio della canzone sono evocatori di storie, di ricordi, di emozioni che riempiono di bellezza la vita.
La Bibbia è una raccolta di 73 volumetti (46 dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo), scritti nel corso di circa 1000 anni da autori diversissimi tra loro e con finalità ad una prima lettura molteplici, ma che formano insieme una Storia, quella di Dio con l’umanità, che solo chi la vive dall’interno riesce a cogliere e a capire. Chi, invece, ne è fuori vede in essa il racconto delle vicende di un piccolo popolo dell’Oriente Antico, con le sue regole e le sue contraddizioni, le sue continuità e le sue divisioni, le sue vittorie e le sue sconfitte, ma non si rende conto dell’unico progetto che esso sviluppa a favore prima di Israele e, attraverso Israele, di tutta l’umanità. Né è in grado di cogliere il procedere di Dio che, come dice la lettera agli Ebrei, dopo aver “parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1,1-2), per educare il suo Popolo e per condurlo ad un modo alto di vivere.
Le Scritture come preziose testimonianze di una lunga Storia d’amore tra Dio e l’uomo, certamente vanno custodite gelosamente, ma essendo un patrimonio familiare, quando vengono tirate fuori dalla “cassaforte” hanno bisogno della memoria di chi quella esperienza l’ha vissuta e la vive, per esprimerne il significato autentico e continuare a creare identità e umanità e ad aprire al futuro e alla speranza.
+ don Valentino