Nel 1970 ebbi l’opportunità di passare circa due mesi a Filadelfia (USA), come vice parroco estivo nella Parrocchia di Our Lady of Pompei, dove risiedevano molti italiani anziani. Il Parroco, un prete di origini irlandesi molto zelante, mi chiese di dove fossi. Risposi che ero di Frasso Telesino, in Provincia di Benevento. Mi elogiò tanto, perché non avevo nascosto la mia provenienza da un paese italiano piccolo e sconosciuto, dicendomi che tanti al mio posto, si sarebbero vantati di risiedere in una Città più conosciuta: Napoli, Casera, Benevento…
Sono 62 anni che non vivo più a Frasso, ma quando mi chiedono: “Di dove sei?” Rispondo spontaneamente: “Di Frasso Telesino, in provincia di Benevento!” (e non “Roma”, dove pur risiedo attualmente e dove ho passato ben 53 dei miei 78 anni di vita). Vedo con piacere su facebook, che tanti, partiti da Frasso molto tempo fa, come me, (ma anche tanti giovani) continuano a mettere con orgoglio sul loro profilo, alla indicazione “Città di origine” “Frasso Telesino”.
Penso che sia un atto dovuto perché anche se la vita ci ha portato lontano, lì ci sono le radici, lì qualcuno ha sognato per noi, lì qualcuno si è sacrificato perché la nostra vita esistesse e fosse migliore; lì, come diceva lo scrittore francese Albert Camus, gli occhi del cuore si sono aperti per la prima volta donandoci una luce che ci portiamo dietro dovunque andiamo. Camuffare le nostre origini è come tradire quei volti e quelle esistenze, grazie alle quali siamo quello che siamo e viviamo una vita migliore di quanti non hanno risparmiato fatiche, emigrazioni, lavori talvolta umilianti perché i loro figli, cioè noi, vivessero una esistenza diversa.
Girando per il paese, spesso durante le processioni, vedo tante case, talora chiuse, e penso alle persone che le abitavano e allo stato in cui apparivano quando ero bambino. Oggi sono quasi sempre curate e confortevoli, ma mi capita di vedere in quel progresso le fatiche, le lacrime ed il sudore di gente semplice e talora analfabeta che aveva tanti sogni nel cuore e che ha sopportato tutto (anche la vendita della propria casa, la solitudine, la lontananza dagli affetti o il sacrificio di passare gli ultimi anni di vita tra persone che parlavano una lingua spesso incomprensibile, in ambienti sconosciuti, strappati dalla loro terra e da affetti e tradizioni…) pur di donare ai figli quello che la loro generazione non aveva avuto. Taluni di questi eroi hanno chiuso la loro esistenza in solitudine a Frasso (abbandonati dai numerosi figli che avevano cresciuto con enormi sacrifici) o in Case di ricovero per anziani, ma sereni e riappacificati dal fatto che le persone care stavano meglio di loro. Sono grandi persone, per le quali prego e che spero di riabbracciare davanti al Signore per dire loro grazie. Ma soffro molto vedendo i loro discendenti che oggi possono guardare più lontano perché hanno avuto la fortuna di camminare sulle spalle di quei “giganti” umili e grandi, oggi quasi si vergognano di loro e, camuffando le loro origini, affermano: “Sono di Roma, Milano, Torino, Caserta, Benevento…”, mentre sono quello che sono perché quei piccoli eroi di un piccolo paese del Sannio, hanno sognato e lavorato con fatica per loro.
Ho saputo che alcuni italiani che emigravano in America, arrivati ad Ellis Island, cambiavano le loro generalità, dichiarando cognomi diversi, che spesso traducevano in inglese le proprie generalità (Rossi= Red; Bianchi=Withe; etc). Come pure, incontrando alcuni nipoti di emigrati in Argentina, ho scoperto che gli antenati venuti dall’Italia spesso non avevano parlato loro delle proprie origini, forse per far dimenticare le sofferenze che avevano lasciato nella Madre Patria, con l’illusione di far ricominciare loro una vita nuova. Operazioni che non hanno fatto bene ai loro discendenti, privandoli di una storia, che è garanzia di identità, di sogni e di futuro. Auguro ai miei compaesani emigrati in Italia e all’estero (ma anche a quanti hanno dovuto lasciare o ancora oggi lasciano i loro piccoli borghi natii), di scoprire la bellezza di dichiarare con orgoglio le loro origini, anche come atto di amore verso chi per loro ha sognato e ha donato la vita.
+ don Valentino