Sono convinto che la qualità di un prete dipenda non soltanto dai buoni propositi personali, ma anche dal contesto (il presbiterio) in cui è inserito. Anche qui, come altrove, ciò che fa la differenza è il “gioco di squadra”.
Da giovane prete ho avuto la fortuna di essere inserito in un presbiterio in cui c’erano persone che hanno dato molto a me ed ai miei giovani confratelli. Era gente seria, molto presa dalla propria missione, generosa ed impegnata, distaccata dai soldi e da miraggi di carriera, coraggiosa ma non polemica, capace di guardare e di aiutarti a guardare le varie vicende ecclesiali con maturità, spirito critico, senso della storia e soprattutto con fede. Il pensiero corre in particolare a qualcuno che ho conosciuto da vicino: don Alessandro Agostini, don Sergio Mangiavacchi, don Ennio Appignanesi (poi Arcivescovo di Potenza), padre Angelo Leva, religioso pavoniano, don Claudio Palma, mons. Giovanni Canestri (poi Cardinale di Genova)…
Soprattutto ricordo il mio Rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore, Mons. Plinio Pascoli (poi Vescovo Ausiliare di Roma), la sua serietà, la sua severità e la sua preoccupazione di non far entrare in Seminario la mala pianta del pettegolezzo. Ricordo che a noi Seminaristi che andavamo a servire nella Basilica Lateranense, era proibito parlare con i Canonici e che una volta che mi fermai ad aiutare a svestire dei paramenti sacri un vecchio prete del Capitolo in vena di confidenze, fui richiamato tre volte dal Rettore, e, rientrato in Seminario, rimproverato perché avevo infranto la Regola.
Questa disposizione, che può sembrare eccessiva, ci preservava dal clima di pettegolezzo vigente in certi Capitoli cattedrali, e anche al Laterano di quegli anni, dove c’era qualche canonico che noi seminaristi definivamo “ateo” per il suo comportamento poco edificante durante le funzioni, e contribuiva a rendere sereno il clima del Seminario dove si parlava con rispetto dei Preti, dei Vescovi e dei Cardinali, senza “inciuciare” sui loro rapporti, sulle loro presunte mire e sui loro difetti.
Diventato Vescovo, talora sono rimasto scandalizzato del modo con cui alcuni seminaristi e preti si soffermavano a spettegolare sui Vescovi e sui loro rapporti con i preti e i Confratelli e ad evidenziarne le debolezze vere o spesso presunte.
In ogni presbiterio, alcuni preti assumono il ruolo di laeder o di testimoni. È un fatto naturale che avviene in ogni gruppo umano per il carattere, l’intelligenza, la preparazione, la santità, le capacità di mediazione di qualcuno. Ho sempre invidiato i vescovi che tra i loro sacerdoti hanno avuto preti come don Luigi Orione, don Giacomo Alberione, don Giovanni Battista Scalabrini (poi Vescovo di Piacenza) o don Guido Maria Conforti (poi Vescovo di Parma e Arcivescovo di Ravenna), don Giovanni Bosco o don Giovani Battista Vianney, il Curato d’Ars, don Angelo Campagna (poi Vescovo di Alife-Caiazzo), don Zeno Saltini, don Emilio Matarazzo, don Oreste Benzi…. Persone che con la loro bontà e la loro passione per il Signore e per i fratelli puntavano alto ed elevavano il livello del presbiterio, donando prospettive nuove, favorendo la convivenza presbiterale, smussando i conflitti, educando alla misericordia ed alla lettura di fede della vita quotidiana.
Ho conosciuto tanti buoni preti che in molti presbiteri sono stati e sono forti punti di riferimento. Faceva riferimento ad alcuni di loro un mio compagno di Seminario, parlando delle difficoltà della sua diocesi e presentandoli quasi come parafulmini della vita ecclesiale, anche in tarda età. Perché i Confratelli anziani di un presbiterio, soprattutto quando sono liberi da impegni pastorali diretti, sono una ricchezza preziosa delle nostre diocesi, rendendosi disponibili per le sostituzioni, per le confessioni, per l’esercizio di una preziosa paternità verso i Confratelli più giovani da sostenere, visitare, consigliare. La sfortuna più grande che può capitare ad un presbiterio è quando chi di fatto assume il ruolo di laeder è animato da miraggi personali, piccole vanità, desiderio di emergere sui Confratelli. In questo caso diventa un forte fattore di divisione e di conflitto, anche in tarda età… Che pena vedere sacerdoti ormai anziani, ancora in competizione con i Confratelli più giovani, invidiosi dei loro successi e pronti ad associarsi alle critiche o alle maldicenze nei loro confronti!
Preti così, purtroppo, sono la maledizione di una Diocesi e sono irrecuperabili. Ne ricordo uno, in una piccola diocesi, sempre attivo e presente in ogni situazione di critica e di complotto nei confronti del Vescovo e di alcuni confratelli: nessuno ha potuto fermarlo. Solo sorella Morte ha restituito la pace ai sacerdoti di quella Chiesa.
Un presbiterio in pace, non è senza discussioni e conflitti: i preti sono uomini con i loro pregi e difetti. Ma ciò che fa la differenza è la qualità del confronto. Se è alta, quella dialettica può essere anche un bene, perché aiuta ad approfondire e a migliorare l’azione pastorale. Da giovane prete ho incontrato preti critici e vivaci di proposte negli incontri sacerdotali. Io stesso, per esempio, ho avuto periodi di grandi discussioni con un mio confratello viceparroco. Avevamo idee diverse sulla presenza del cammino neocatecumenale nella nostra parrocchia. Ma c’era stima reciproca e da parte mia apprezzamento per la sua generosità e il impegno; infatti, queste liti non nascevano da invidie, gelosie o meschini interessi personali (in parrocchia avevamo anche la cassa comune!), né impedivano di collaborare intensamente quando la presenza di entrambi era necessaria nel settore di competenza dell’altro. Tra noi è rimasta un’amicizia forte, fraterna che si trasforma in festa ogni volta che ci sentiamo telefonicamente o ci incontriamo.
Delle situazioni dolorose che talora si verificano in un presbiterio, spesso gli artefici veri tendono ad incolpare altri confratelli e soprattutto il Vescovo, che spesso si trova ad inserirsi in situazioni già sfilacciate, di cui viene ingiustamente incolpato proprio da alcuni che da molti anni ne sono la causa reale. “Miserie umane!” avrebbe commentato un mio antico Superiore della Segreteria di Stato…
Questa riflessione, se ha suscitato in me qualche ricordo doloroso, mi ha aperto il cuore pensando alla immensa schiera di Confratelli “santi della porta accanto” che ho avuto la fortuna di incontrare e frequentare, che mi hanno dato esempi bellissimi e che spero almeno in parte di imitare ora che anche la mia vita volge al tramonto, per sostenere la passione per il Vangelo e la comunione fraterna dei Confratelli più giovani.
+ don Valentino