Quando ero bambino, coloro che volevano sposarsi in chiesa andavano dal prete “a fare le carte”: era tutto un itinerario burocratico fatto di “processetti”, interrogazioni dei nubendi e dei testimoni, pubblicazioni in chiesa e al Comune, o dispense da impedimenti vari (quando c’erano)…. Insieme a questo, si raccomandava ai futuri sposi di confessarsi e si dava qualche istruzione sulla “cerimonia”…. Tutto qui.
Poi vennero gli anni ’70 e il referendum sul divorzio, grazie al quale i preti e i vescovi italiani “scoprirono” che circa il 60% degli italiani, anche molti dei praticanti, non pensava il matrimonio secondo la dottrina cattolica. In questo contesto si avviarono i corsi prematrimoniali, per “spiegare” il matrimonio sacramento e le sue conseguenze (relative alla contraccezione, all’aborto, alla indissolubilità …). Ad abundantiam, in alcuni casi si previdero anche lezioni di carattere giuridico e (talora) psicologico, prevedendo talvolta la testimonianza di una coppia adulta. Si trattava soprattutto di un’opera di indottrinamento, sulla base della convinzione, molto comune tra i chierici, che “sapere” è “credere” e che il problema fosse tutto sul versante dell’”ignoranza religiosa”. Ciò che non sembrava essere preso in considerazione era la fede di quelli che chiedevano di sposarsi in chiesa.
Tale modo di concepire la preparazione dei fidanzati ha avuto lunga vita, anche se con l’aggiunta di approfondimenti biblici e liturgici e di elementi tratti dalle scienze umane e della testimonianza di coppie adulte. Col passare del tempo anche i vescovi hanno dato indicazioni più precise e migliorative al riguardo (Cfr. Orientamenti pastorali sulla preparazione al Matrimonio e alla famiglia, 22 ottobre 2012), e più recentemente ad arricchire i “corsi” si sono aggiunti preziosi riferimenti alla Esortazione Apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco, del 19 marzo 2016.
I limiti di tale impostazione sono apparsi più evidenti soprattutto in realtà periferiche, dove allo stile rigidamente scolastico di alcuni “corsi prematrimoniali” (con relative lezioni, presenze , “materie”…, senza nessuna individuazione di obbiettivi pedagogici, se non quello del “sapere”), talora si aggiunge quello strutturato intorno ad un “prete simpatico” che con dovizia di episodi, citazioni, “provocazioni”, canti, frasi ad effetto, rende i corsi “ligt”, spesso a scapito di alcuni aspetti della dottrina della Chiesa sul matrimonio, stabilendo rapporti personali che non formano cristiani e che evaporano dopo la celebrazione del Rito del matrimonio.
Preoccupante è il fatto che, in genere, i normali corsi di preparazione al matrimonio non hanno come obiettivo principale quello di portare i giovani a fare una scelta di fede, ma in genere forniscono nozioni sul matrimonio a persone lontane dalla comunità cristiana (e dalla mentalità di fede), talora sollecitate al rito religioso dall’ambiente familiare, che non colgono la differenza profonda che c’è tra matrimonio civile e matrimonio religioso, dal quale si aspettano solo la “benedizione di Dio” su un modello di coppia chiaramente individualistico, sovente già sperimentano nella convivenza (talora anche con figli).
Servono questi corsi di preparazione? Penso che male non facciano, ma i risultati sono molto scadenti perché, non portando ad una scelta seria di fede, non pongono le basi per un matrimonio cristiano e non inseriscono nella Comunità cristiana. In proposito mi permetto di proporre alcune osservazioni e di offrire sommessi suggerimenti:
1. I fidanzati vengono a prepararsi al matrimonio con un bagaglio religioso confuso di notizie, obblighi, paure. Più che fidarsi di Dio, fanno riferimento ad un sistema vago di regole e credenze: occorre innanzitutto porsi l’obiettivo di aiutarli ad entrare nella logica della Fede, così come l’ha vissuta Gesù (uscendo da quella della “religione”).
2. Fondamentale obiettivo è quello di portare i fidanzati ad incontrare Gesù, e ad aiutarli a comprendere che il Vangelo è la grande opportunità di vivere da persona umana. Più che attraverso delle lezioni, tale obiettivo va raggiunto in un clima di amicizia e di dialogo autentico con esperienze di confronto e di spiritualità (ascolto del Vangelo, meditazione, preghiera, servizio ai poveri) e di inserimento progressivo nella comunità cristiana.
3. Occorre far capire che sposarsi in chiesa significa scegliere il modello di vita proposto da Gesù, che è alternativo all’individualismo corrente: il matrimonio cristiano non è un contratto di convenienza tra due individui, ma una chiamata di Dio a realizzare il progetto di un NOI, in cui l’altro/a è parte integrante di te, che si sente un dono per gli altri, innanzitutto per i figli.
4. Insistere sul fatto che la vita di fede e i Sacramenti sono funzionali a rimanere in questa logica di dono, vincendo la tentazione sempre forte dell’individualismo, e ad inserirsi nella Comunità cristiana, che è il luogo dove ascoltando il Signore e vivendo i Sacramenti si impara ad “essere per gli altri”, cioè “pane” come l’Eucarestia che non è solo un rito, ma il modello della vita del cristiano.
5. In questa logica del Noi e del dono, e solo in questa logica, vanno inserite le indicazioni della Chiesa sulla sessualità, l’aborto, la fedeltà nel matrimonio, l’accoglienza e l’educazione dei figli… Fuori di essa, queste direttive sembrano moralistiche, arretrate e insignificanti.
+ don Valentino