Basilica Santa Maria Maggiore, Piedimonte Matese
Omelia in occasione della festa del Battesimo di Gesù, 9 gennaio 2011
L’odierna festa liturgica chiude le celebrazioni delle manifestazioni di Gesù, che, dopo essersi rivelato ai pastori nella Notte santa e ai Magi nel giorno dell’Epifania, si manifesta al popolo di Israele, facendosi battezzare da Giovanni il Battista presso il fiume Giordano.
Il Nuovo Testamento dà grande importanza a questo evento, nel quale Gesù, proclamato dal Padre “Figlio amato”, inizia la missione pubblica, che avrà il suo compimento nella Pasqua. Dice San Pietro nel brano degli Atti degli Apostoli, appena letto: “Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il Battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,37-38).
Ma perché Gesù chiede di essere battezzato, mentre Giovanni vuole impedirglielo?
Non certo per essere purificato dai peccati, dal momento che egli era esente da ogni colpa. Infatti, risponde al Battista: “Conviene che adempiamo ogni giustizia”(Mt 3,15). L’espressione indica, da una parte, la volontà di Dio, che rivela ed attua il suo progetto di salvezza e, dall’altra, l’umile e totale adesione del Figlio al piano salvifico inaugurato nel Battesimo del Giordano. In cosa consista tale piano divino, lo suggerisce Isaia nella prima lettura: “Ecco il mio servo… egli porterà il diritto alle nazioni… non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta: proclamerà il diritto con verità… Io, il Signore… ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nella tenebre” (Is 42,1-3; 6-7).
Gesù si presenta a Giovanni umilmente, confondendosi con quanti chiedono il battesimo di penitenza e mostrandosi solidale con i peccatori. Matteo riferisce che proprio mentre Gesù esce dall’acqua, a conclusione di tali gesti di vicinanza e di condivisione, si aprono per lui i cieli, vede lo Spirito di Dio discendere in forma di colomba e ascolta la voce dall’alto che dice: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17). Con tali segni e parole, riceve l’investitura che lo abilita a realizzare la missione affidatagli dal Padre. La presenza dello Spirito, poi, suggerisce che si tratta di un nuovo inizio, con il quale Dio vuole riprendere la sua storia d’amore con gli uomini, e salvarli, ridonando loro la dignità perduta. Da quel momento, il comportamento di Gesù sarà quello del Figlio amato che fa della sua esistenza una risposta d’amore al Padre, fino al dono supremo della croce.
La festa odierna ci porta a riscoprire il Sacramento del Battesimo, nel quale anche noi siamo stati proclamati figli amati in Cristo e, con il dono dello Spirito, abbiamo iniziato la nostra bella avventura di discepoli del Signore nella grande famiglia che è la Chiesa. Tale dono, stupendo e insperato, fa esclamare all’Apostolo Giovanni: ”Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio” e a concludere stupito “e lo siamo realmente! … fin d’ora..” (I Gv 3,1). Il Battesimo, infatti, ha cambiato la nostra sorte e ci ha reso creature nuove, liberandoci dal peccato e rendendo la nostra vita una continua occasione per dimostrare al Padre la gioia di essere suoi figli, producendo i frutti dello Spirito. In questa ottica, l’osservanza dei comandamenti e la vita morale, per i cristiani, non rappresentano più l’adeguarsi timoroso ad una legge imposta, ma un modo per dire al Padre il proprio amore di figli.
Oggi si concludono le festività natalizie e inizia il Tempo ordinario, nel quale la Liturgia della Chiesa, dopo averci fatto sperimentare la tenerezza di Dio manifestatasi nel Bambino, nato per noi a Betlemme, ci invita a vivere la quotidianità, concentrando la mente e il cuore su Colui, che si rende solidale con i fratelli e fa “aprire i cieli” e ci indica nella vicinanza agli ultimi e nella condivisione dei loro problemi e delle loro sofferenze, la via privilegiata per camminare verso Dio e vivere autenticamente la nostra identità di figli amati.