Il 23 maggio 2013 il nuovo Papa, Francesco, parlando per la prima volta ai Vescovi italiani nella Basilica Vaticana, a conclusione dell’annuale Assemblea CEI (Conferenza Episcopale Italiana) presentò come urgente il problema della riduzione del numero delle diocesi in Italia. All’uscita dalla Basilica, trovandomi accanto al Papa e al presidente della CEI, da qualche loro battuta capii che tale proposta non era un’idea del Sommo Pontefice, ma un vecchio progetto della CEI che aveva già avviato contatti con le Congregazioni romane. Tornando da Roma, ne parlai subito con il Clero diocesano, invitandolo a formulare proposte per evitare di trovarci davanti a soluzioni non gradite o penalizzanti (già sperimentate da Alife e Caiazzo in occasione delle infelici Amministrazioni Apostoliche rispettivamente di Caserta e di Capua). Tutti suggerirono di chiedere a Roma di unire la nostra diocesi a quella di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti.
Don Cesare Tescione fu incaricato di scrivere una lettera che, firmata da me e da tutti i Sacerdoti, fu inviata alla Congregazione dei Vescovi. Ma, qualche tempo dopo, giunsero voci che a Cerreto non gradivano la proposta che, secondo alcuni preti del posto, andava contro l’antico legame di quel territorio con Benevento. In una successiva riunione del Clero, prendendo atto dell’orientamento emerso a Cerreto, sollecitai i Sacerdoti a ipotizzare nuove soluzioni, ma nessuna di quelle proposte trovò un consenso unanime. Si decise pertanto di soprassedere.
Frattanto, anche alla Conferenza Episcopale Campana (CEC) giunse l’invito ad affrontare la questione e a ipotizzare modifiche dell’attuale situazione delle Diocesi. A tale scopo, fu nominata una piccola Commissione (composta dai Vescovi Di Cerbo, Cascio e De Luca), ma di fronte alla mia idea di proporre scenari concreti per evitare che fossero prese decisioni da chi non conosceva il territorio e la situazione delle nostre Chiese locali, prevalse la “linea del Piave”, cioè quella di non modificare l’assetto presente. Tale sostanziale rifiuto della riduzione delle diocesi campane fu comunicata a Roma, con molte importanti motivazioni. Nell’Assemblea CEC del 10 ottobre 2016, in riscontro ad una richiesta della Nunziatura che invitava nuovamente i vescovi campani a collaborare alla soluzione del problema della riduzione del numero delle diocesi, fu affrontato nuovamente l’argomento (introdotto da me) e subito dopo fu inviata a Roma una lettera con una serie di quesiti e di raccomandazioni (della mia relazione e della lettera inviata, conservo ancora copia). Niente di più.
Frattanto, in seguito alla pubblicazione del Motu proprio “Mitis Iudex” del 2015, i vescovi di Alife, Teano e Sessa, incontrandosi più volte per costituire il Tribunale Interdiocesano, maturarono l’idea di instaurare forme di collaborazione più strette tra le tre Circoscrizioni ecclesiastiche del nord della Provincia di Caserta. Di fatto, furono incrementati i ritiri interdiocesani del Clero (una iniziativa già realizzata in passato) e si cominciò a pensare al coordinamento degli Istituti diocesani per il Sostentamento del Clero, caldeggiato dall’Istituto Centrale. Al riguardo, qualche anno dopo fu realizzata anche una prima riunione, ma successivamente tale progetto fu bloccato da Mons. Piazza. L’idea di avviare una più organica collaborazione tra le diocesi di Alife, Teano e Sessa, si consolidò in occasione della Fondazione dell’ISSR ”SS. Pietro e Paolo”/Area Casertana, gestita dalle diocesi più grandi della Provincia, con la quasi totale esclusione delle diocesi più piccole.
Nel 2017 a Mons. Aiello, nominato Vescovo di Avellino, a Teano-Calvi subentrò Mons. Giacomo Cirulli, che mostrò subito interesse al progetto di collaborazione organica (anche in vista di un eventuale accorpamento) tra le tre Diocesi dell’Alto Casertano e a portarlo avanti. Di tale prospettiva i tre Vescovi ne parlarono con il Nunzio Apostolico durante l’Assemblea della CEI del maggio 2018.
Era la prima proposta concreta che il Nunzio riceveva dai Vescovi della Campania in risposta alle sollecitazioni di collaborazione con gli intenti del Santo Padre. Da parte mia, si sosteneva la nomina di un nuovo vescovo di Alife-Caiazzo con la prospettiva di preparare il futuro, mentre Mons. Piazza sosteneva non meglio specificate nuove ipotesi ecclesiologiche che suscitarono l’interesse del Nunzio.
Nel 2019, con la cessazione dall’incarico per raggiunti limiti di età del Vescovo di Alife-Caiazzo, l’avvio della realizzazione del progetto fu affidata a Mons. Piazza, vescovo di Sessa, con la nomina ad Amministratore Apostolico della Diocesi di Alife-Caiazzo. A tale scelta contribuirono probabilmente le esibite competenze ecclesiologiche del Vescovo e le pressioni – poco chiare – di alcuni personaggi alifani sulla Nunziatura.
Ma ben presto (forse anche a causa della pandemia) la scelta rivelò i suoi gravi limiti fino al punto che lo stesso Amministratore Apostolico proponeva un nuovo vescovo per Alife-Caiazzo, sottraendosi di fatto all’impresa. Come seconda scelta, in vista della realizzazione del progetto della creazione della Diocesi dell’Alto Casertano, a febbraio del 2021, giunse la nomina di Mons. Cirulli a vescovo anche di Alife-Caiazzo. Con il recente trasferimento di Mons. Piazza a Viterbo – a 69 anni-, per la prima volta si sono create le condizioni di una iniziale forma di unione delle tre diocesi, sposata dalla Santa Sede e confermata personalmente da Papa Francesco a chi proponeva per Sessa – illudendosi – soluzioni diverse da quelle del progetto iniziale.
I Decreti della Santa Sede avviano un processo che sarà lungo e non potrà essere concluso durante l’episcopato di Mons. Cirulli. Non bisogna illudersi. Oltre alla nomina di un unico vescovo, sarà necessario un cammino di conoscenza reciproca e una condivisione del progetto, capace di valorizzare le ricchezze di tutte le chiese locali chiamate a confluire nella futura Chiesa dell’Alto Casertano, evitando inutili competizioni, desideri di predominio e conflitti. Infatti, una diocesi non la si costruisce con i decreti, né intorno al carisma di un vescovo. Quando questo è successo, ci si è accorti che la conclusione di un episcopato ha lasciato le diocesi disorientate e con uno stuolo di “vedove” che invece di guardare al futuro rimpiangono il gerarca che è andato via.
Pertanto, occorre innanzitutto non vivere di nostalgie, di rimpianti e di sogni di ritorno al passato. Lo spopolamento e la marginalizzazione dei nostri territori realisticamente escludono e sconsigliano il rinascere di piccole realtà ecclesiali legate alle condizioni di vita del tempo che fu. Occorre quindi esercitare la virtù della speranza e guardare lontano. E prima ancora conoscersi e individuare linee pastorali comuni. È un lavoro che deve coinvolgere la base clericale e laicale, gli organismi di partecipazione, le Associazioni e i Movimenti, gli uffici di Curia….
La comunione diocesana non la costruisce un vescovo onnipresente che percorre in modo forsennato le tre diocesi soltanto per presenziare manifestazioni e celebrare Sacramenti.
Inoltre, le nostre piccole chiese sono scrigni di valori, esperienze, cultura, spesso sconosciute agli stessi sacerdoti e laici che ne fano parte. Costruire una nuova realtà ecclesiale comporta quindi un intenso periodo di scambi e di conoscenza reciproca, con la volontà di far emergere il meglio. E, prima ancora, di rendimento di grazie allo Spirito che nella storia ha suscitato quelle straordinarie ricchezze di fede e di umanità.
Con tale animo grato e colmo di speranza occorre successivamente porsi la domanda: “Quale Chiesa vogliamo costruire nell’Alto Casertano?” e lavorare alla formulazione di un progetto, che non deve essere limitato al clero, ma deve coinvolgere tutto il popolo di Dio. Si tratta di vivere una forte esperienza sinodale locale che non si limita a qualche riunione per obbedire al Papa, ma di un camminare insieme da fratelli che coinvolge tutti: laici, sacerdoti, uomini, donne, giovani, tutti impegnati in un gioco di squadra che sperimenta e costruisce chiesa, popolo di Dio, umanità nuova di fratelli animata dal Vangelo.
In questo gioco di squadra, va curata l’esperienza della preghiera, che alimenta la fede, altrimenti si scade in contrattazioni e spartizioni che mondanizzano il camminare insieme e rinnegano la fede cristiana. Solo da tale forte e faticoso incontro/coinvolgimento nella costruzione di un progetto comune, può nascere uno stile e una nuova realtà di chiesa che guardi al futuro e all’annuncio del Vangelo alle nuove generazioni. Infatti, sarebbe errato delegare tutto alla persona del vescovo, attendendo che dalla sua testa nasca una nuova chiesa, come Minerva dalla testa di Giove, relegando ad operazione di contorno il coinvolgimento degli organismi pastorali e del Popolo di Dio. Fatta l’Italia, occorre fare gli Italiani, fu detto qualche anno fa. Pubblicati i Decreti pontifici, bisogna costruire il Popolo di Dio che vive in Alife-Teano-Sessa.
È un’esperienza esaltante cui il Signore chiama questa generazione di cristiani. Mettiamoci in cammino con fiducioso entusiasmo e con spirito evangelico, con la consapevolezza che dal nostro impegno dipenderà in futuro la fede e la qualità umana dei nostri territori.
+ don Valentino