La terminologia relativa alla vita di coppia negli ultimi anni ha subito una grande evoluzione. Spesso, ad esempio, si sente parlare di “Fidanzato” o “Fidanzata”, (termini che in passato indicavano due giovani che si preparavano al matrimonio) in riferimento a persone di una certa età che non hanno nessuna intenzione di dare uno sbocco definitivo alla situazione relazionale, ma che sono legati da affetto e si frequentano, senza convivere stabilmente, né condividere un progetto.
Questa evoluzione di termini e di sostanza della coppia è presentata da molti come un fatto positivo, un passaggio di civiltà. In effetti è la reazione ad una visione (del passato) molto definita della vita di coppia e della sessualità, cui però si arrivava spesso senza libertà e senza preparazione. Come pastore e uomo di fede mi domando spesso: di quante persone abbiamo celebrato il matrimonio in Chiesa, senza che avessero fede e senza che avessero una visione della vita compatibile con quanto il matrimonio cristiano comporta? Benedicendo e legalizzando un modo di concepire la coppia, impropriamente definito “cristiano”, cui mancavano in effetti tanti elementi imprescindibili per una visione della vita coniugale ispirata alla Parola di Dio? Tra questi: la consapevolezza della parità effettiva tra uomo e donna (questa fino a poco tempo fa, anche nella legislazione italiana, era considerata “minore” rispetto al marito); una fedeltà coniugale non libera, ma determinata spesso dalle condizioni economiche e da una visione maschilistica della società, che costringevano la donna a stare insieme al marito, anche quando la situazione era insopportabile per sfuggire la condanna di una società che fuori dal matrimonio vedeva soltanto suore o prostitute…
Penso che sia poco cristiano rimpiangere questo “ordine”, che ha dato anche buoni frutti, ma che spesso era costruito sulle lacrime, le umiliazioni e le sofferenze delle donne e su di un maschilismo poco cristiano, negativo anche per la crescita dei figli.
Detto questo, temo che l’individualismo che oggi domina nei rapporti uomo/donna, dietro una patina di modernità e di libertà, crei altre ingiustizie ed altre umiliazioni e riveli immaturità e inconsapevolezze inconfessabili. Queste sono sempre a portata di mano quando l’individualismo prevale, l’amore è possesso interessato, e quando la coppia è vista come fatto di convenienza, senza responsabilità (e presa in carico) della vita dell’altro, senza sguardo sul futuro e senza la disponibilità a cambiare se stessi per rigenerarsi nel valore di coppia. Guardo con perplessità una unione che ha il sapore di un contratto basato sulla convenienza, garantito da un rito formale o frutto di una semplice convivenza, perché il tutto si basa su un utile che, alla bisogna, potrebbe non essere presente più e portare a sfilarsi della parte più forte dal progetto, senza nessuna considerazione per la vita, le attese e le speranze dell’altro/a o altri (i figli).
Scegliere il matrimonio cristiano significa innanzitutto liberarsi da visioni individualistiche e di convenienza e accedere al sacramento e alla vita insieme come ad un progetto in cui due persone si fanno carico l’una della identità e della realizzazione dell’altro all’interno del progetto della costruzione di un NOI.
Detto in parole povere: fuori della fede cristiana il matrimonio può essere concepito come un contratto di convenienza che guarda all’utile presente (o finché conviene); nella fede è un progetto che ha le sue radici nell’amore di Dio, che vuole costruire il NOI, concepisce l’amore come porsi al servizio della riuscita e felicità dell’altro e guarda al futuro.
Nel primo modello il baricentro della coppia rimane nell’io, nel secondo si sposta sul Noi.
+ don Valentino