Non penso che “striologo” sia un termine della lingua italiana.
Era usato nel mio paese (e penso anche nelle zone limitrofe) per indicare una persona che si dava delle arie e si sentiva superiore agli altri perché aveva avuto la possibilità di studiare di più o si vantava di competenze non documentate. Quando si attribuiva questo termine a qualcuno, si intendeva ridicolizzarlo. Non so da dove derivi, ma spesso mi è venuto il dubbio che fosse una storpiatura dialettale del termine “teologo”, dovuta a qualche sacerdote un po’ vanitoso, che avendo raggiunto gradi accademici in Teologia, si comportava in modo borioso e saccente nei confronti di gente semplice e analfabeta.
Questa parola mi viene spesso in mente quando ascolto qualche sacerdote che durante l’omelia usa disinvoltamente termini di difficile comprensione per la gente comune (ermeneutica, epistemologia, pericope, diastasi, dicotomia, escatologia, transustanziazione, resilienza ecclesiale….) o farcisce di dotte citazioni di autori famosi le omelie domenicali (una volte ne contai 18!) o addirittura cita frasi in latino, greco, tedesco … per spiegare (?!?) qualche verità di fede.
Ritengo che questi sacerdoti siano dei “ladri di Vangelo”, perché per ottenere il plauso di qualche uditore o l’inconsapevole ammirazione dei più, di fatto non spargono il seme della Parola del Signore, ma involucri rutilanti senza senso. A chi si mette in ascolto serio di Dio questo comportamento infastidisce.
Ricordo che durante il pontificato di Giovanni Paolo II, fu chiamato a predicare gli Esercizi spirituali alla Curia Romana un noto teologo italiano. Nelle sue lunghe meditazioni faceva sfoggio di erudizione: riportava brani di autori famosi classici e moderni in lingua originale e soprattutto citava la Sacra Scrittura in greco, latino, ebraico, aramaico, facendo dotti paralleli con le lingue dell’Antico Oriente… Una “spremuta di cultura” che infastidì molto il qualificato uditorio, che invece rimpiangeva le meditazioni dettate in analoga circostanza dal Card. François-Xavier Nguyên Van Thuán, vietnamita che aveva passato gran parte della vita in prigione per la Fede e che con interventi che non superavano mai i 15 minuti parlava con semplicità ed umiltà del Vangelo e della sua vita di credente martire, incantando tutti.
Sant’Alfonso Maria dei Liguori, vescovo e dottore della Chiesa, ma già in vita riconosciuto universalmente come uno dei più grandi teologi moralisti, nonché autore di poderosi trattati di Teologia morale, aveva molto a cuore l’annuncio del Vangelo alla povera gente. Prima di diventare Vescovo ha svolto infinite Missioni popolari soprattutto nelle regioni interne del Sud Italia, con la preoccupazione di elevare il livello spirituale e culturale delle popolazioni povere e sfruttate. Uno dei suoi metodi più originali era quello del dialogo tra il Dotto e l’Ignorante, in cui cercava di avvicinare al bassissimo livello culturale e morale della gente la ricchezza liberante del Vangelo. Da Vescovo fu particolarmente severo con i sacerdoti predicatori, che voleva preparati, ma che invitava a parlare la lingua della gente per farsi capire e a non “toscaneggiare”, cioè a fare inutile sfoggio di cultura. Riservava ai preti giovani degli incontri appositi nei quali li invitava a tenere un’omelia, facendo alla fine opportune osservazioni, per educarli a farsi capire dalla gente e ad evitare inutili sfoggi di erudizione.
L’amore al Signore e alla gente dovrebbe portare noi preti ad avere il terrore di essere “striologhi” e a considerare la nostra preparazione teologica e culturale non come occasione per vantare titoli accademici (com’è triste sentire un prete che si vanta dei suoi studi e della sua preparazione culturale per accreditarsi davanti alla gente e farsi considerare “uno in carriera”), ma per far confluire le competenze acquisite in un servizio migliore e più appassionato alla parola di Dio, i cui primi destinatari come ci ricorda Gesù sono i piccoli e i poveri.
Il grande teologo Alfonso Maria de’ Liguori insegna.
+ don Valentino