Terach, con suo figlio Abram, la moglie Sara e il nipote Lot da Ur dei Caldei si era trasferito con gli armenti e i servi a Carran, nel paese di Canaan. Ma un giorno, il Signore sconvolse la vita tranquilla e benestante del clan, e soprattutto di Abram, intimandogli: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.”. Si trattava di lasciare il certo per l’incerto e di fidarsi della promessa di Dio, ma il libro della Genesi continua: “Abram partì come gli aveva ordinato il Signore” (Gn 12, 1;4).
Ho pensato ad Abramo, dopo essermi battuto fino alla fine perché la nostra Diocesi di Alife-Caiazzo conservasse la propria autonomia. Condivido pienamente il dispiacere di quanti, sacerdoti e laici, vedono di fatto tramontare un pezzo della propria storia e confluire in “altro” l’identità concreta, sedimentata da secoli, della famiglia ecclesiale in cui sono cresciuti e a cui hanno dedicato le loro energie migliori e il loro entusiasmo. Infatti, anche se formalmente la diocesi di Alife-Caiazzo rimane ancora, l’unione “in persona episcopi” con quella di Teano-Calvi, rappresenta, come ebbe a dire Papa Francesco ai Vescovi Italiani, una tappa verso la completa fusione con altre comunità ecclesiali del territorio in vista della formazione di una Circoscrizione ecclesiastica più grande.
Pensando allo sconvolgimento provocato dalla decisione del Pontefice, in questi anni mi sono chiesto: “Come deve reagire un uomo di fede e una comunità ecclesiale?” e, sulla scorta dell’esperienza di Abramo, riferita dalla Parola di Dio, ho cercato di dare una lettura sapienziale a questi eventi, leggendoli come “segni dei tempi” che ci indicano la volontà del Padre che non toglie la gioia ai suoi figli, ma nella prova li prepara ad accogliere un bene più grande.
Chiamando Abramo, il “padre dei credenti”, a partire da Carran, verso “il paese che io ti indicherò”, e strappandolo dalla sicurezza e dal tepore del suo clan e delle braccia paterne, Dio non lo priva soltanto di qualcosa, ma gli propone una meta più alta: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione” (Ib, 2), più sorprendente della tranquilla vita che fino ad allora aveva immaginato. Ho pensato allora che anche per noi l’atteggiamento da assumere è quello di fidarsi di Dio e di lasciarsi condurre da Lui, che sconvolgendo la nostra piccola storia, ci invita a “prendere il largo” verso una esperienza di fede e di Chiesa, più rispondente alle rapide trasformazioni sociali, culturali e antropologiche, presenti anche nel nostro territorio, che richiedono nuove forme di comunione e di evangelizzazione.
In questa ottica, alla nostra generazione non è chiesto di lamentarsi, di protestare o di vivere di rimpianti e di nostalgie, ma di interrogarsi su dove il Signore vuole condurla e di rendersi disponibile a costruire il nuovo popolo di Dio nelle Terre dell’Alto Casertano, con la gioiosa e confidente consapevolezza di essere stata chiamata a realizzare un disegno più grande, frutto del suo amore fedele per noi.
Guardando all’esperienza di Abramo, dobbiamo quindi avvicinarci a questo progetto, non rinunciando alla nostra storia, ma con l’intento di recare alle Chiese sorelle le ricchezze che il Signore ha fatto fiorire tra noi e di accogliere con rispetto e gratitudine i doni sbocciati nelle altre esperienza di Chiesa, che, attraverso la decisione del Papa, sono chiamate a confluire nell’unica Chiesa dell’Alto Casertano.
Il momento che stiamo vivendo, comune a tante piccole diocesi italiane, richiede quindi non solo l’obbedienza della fede, ma anche l’impegno responsabile di chi sa che Dio non si sostituisce a noi, ma ci chiama a collaborare per la realizzazione dei suoi progetti di amore, gareggiando nel bene e testimoniando la gioia del Vangelo.
Questo pertanto deve diventare tempo di preghiera intensa, di incontri, di dialogo e di ascolto dei fratelli, preziosa occasione di unità con il Vescovo, di fervida comunione e di corresponsabilità tra Sacerdoti, Religiosi e laici.
L’esperienza di Abramo ci insegna che solo fidandosi di Dio e camminando insieme si costruisce un Popolo nuovo.
+ don Valentino
Pubblicato su Clarus n.2 – marzo 2021