Gesù, pur essendo celibe, non impone il celibato agli Apostoli, tra i quali sceglie anche qualcuno sposato. La stessa prassi vige nella Chiesa primitiva e in tutto il primo Millennio dell’era cristiana. Soltanto all’inizio del secondo Millennio, di fronte alla grande decadenza morale del clero, la Chiesa estende la condizione celibataria, propria dei monaci, a tutti i sacerdoti, con una disposizione di carattere disciplinare (non dogmatica) e quindi passibile di cambiamento.
Nel corso degli ultimi decenni, le mutate condizioni socio-culturali, alcuni scandali nel clero e il calo del numero delle vocazioni al Sacerdozio, hanno portato alcuni ambienti a mettere in discussione il celibato dei preti cattolici latini. Del problema si sono occupati anche il Concilio Ecumenico Vaticano II e il Sinodo dei Vescovi, com’è avvenuto nel recente Sinodo sull’Amazzonia, ma nessun Papa ha voluto modificare la normativa vigente, ritenendola ancora valida e opportuna ai fini della Missione della Chiesa nel mondo contemporaneo e contraddicendo quanti ritenevano tale cambiamento risolutivo dei problemi dei presbiteri di oggi, come la diminuzione delle vocazioni, la piaga della pedofilia e altre forme di ipocrisia; la solitudine.
Personalmente, sono convinto che il celibato dei preti sia ancora valido solo se sostenuto da una robusta motivazione di fede, che porta il sacerdote a condividere in pieno e liberamente le scelte di Gesù, cioè ad immaginarsi come una persona che fa della propria esistenza l’espressione di una vita interamente donata al Signore e ai fratelli, capace di rinunciare anche a diritti naturali per meglio servire il Regno di Dio. Tale tipo di celibato apre il sacerdote ad una paternità diversa, più grande e più piena, che la responsabilità verso una famiglia e i figli potrebbero limitare. Mancando questa prospettiva di fede, facilmente il prete si “retrocede” nella categoria degli scapoli, da cui gli derivano tutti i problemi (personali, sociali, morali…) propri di quella condizione.
Non è un caso che la scelta del celibato sia stata vissuta come condizione fondamentale per realizzare la propria missione non soltanto da figure eccellenti del Clero cattolico, ma anche da quella schiera immensa di buoni preti che hanno costituito e costituiscono dei riferimenti forti per la crescita umana, spirituale, sociale… di tante comunità. Purtroppo la doverosa azione della chiesa nei confronti di alcuni gravi casi morali presenti tra il Clero, resa pubblica e ingigantita dai media (che sorvolano sul fatto che, purtroppo, oggi la pedofilia è diffusissima in tanti ambienti laici), sembra aver fatto dimenticare tutta l’opera benefica di milioni di sacerdoti in favore di tantissime Comunità, come constatavo in tante parrocchie e specialmente durante la Visita pastorale nella Diocesi di Alife-Caiazzo, sentendo ricordare dalla gente i buoni preti che per la loro comunità erano stati educatori nella Fede, ma anche padri, maestri di vita, consiglieri, sostenitori delle aspirazioni dei piccoli e dei poveri, pacificatori…
Nei miei 53 anni da prete, ho sperimentato anch’io il vantaggio di essere celibe per dedicarmi completamente al ministero sacerdotale. Penso alle mie intensissime giornate di Viceparroco della Parrocchia di San Luca al Prenestino in Roma, al mio impegno nella Scuola pubblica e alle mie attività pomeridiane con i ragazzi, al periodo trascorso in Vicariato, da Responsabile del Centro Pastorale per l’Evangelizzazione, quando in alcuni periodi dell’anno entravo alle 7 in Ufficio e ne uscivo alle 19, senza interruzione, o ai due/tre/quattro incontri quotidiani con Scuole diverse, nei lunghi mesi in cui si doveva far conoscere la nuova normativa per l’Insegnamento della Religione cattolica e la relativa scelta… Penso alle mie domeniche romane impegnate in Parrocchia, ai week end, in cui dopo intense giornate di lavoro in Segreteria di Stato, per 17 anni mi recavo settimanalmente a Frasso per esercitare il mio ministero di Rettore della Chiesa di Campanile, curare l’Associazione Terra Fraxi, il giornale Moifà e organizzare tante iniziative a servizio della crescita spirituale e culturale del mio paese. Penso con orgoglio e nostalgia al mio ministero di Vescovo: alle mattinate passate a ricevere i preti e la gente comune, a seguire la Curia e a programmare la vita della diocesi, ai frequenti incontri con le parrocchie e alla presenza alle manifestazioni scolastiche e pubbliche, ai tre anni della Visita pastorale, alla celebrazione del Sinodo diocesano ed alle mille altre attività che riempivano come un uovo le mie giornate.
Questi ricordi mi fanno pensare con tenerezza ad una mia eventuale famiglia, in cui ci sarebbe stata una donna a provvedere praticamente da sola a dei figli , che avrebbero potuto contare poco sulla presenza del padre….. e ringrazio il Signore e la Chiesa che mi hanno dato la possibilità di vivere una paternità più grande e ed una vita umanamente e spiritualmente più intensa.
Questi pensieri mi portano a pregare tanto e a chiedere di pregare per i sacerdoti perché vivano una esistenza, motivata dalla fede e piena di lavoro generoso per il Popolo di Dio. Perché quella di un prete è una vita felice se, come quella di Gesù, è completamente donata sul modello di quel Pane che incontra ogni giorno nella Celebrazione eucaristica.
+ don Valentino