Mi piacciono i cristiani così: impegnati, umani, maturi, capaci di cose grandi senza montarsi la testa, persone che quando compiono il loro dovere fanno la differenza. E la differenza non sono gesti bigotti o attesa che Dio risolva con la bacchetta magica i problemi, ma capacità di uno sguardo diverso sulle cose e su se stessi e convinzione che, come insegna il Vangelo, la vita ci è data per far felici gli altri.
In questi giorni abbiamo appreso tutto questo di Luca Attanasio, un brillante e giovane ambasciatore italiano, che ad una Suora connazionale presente in Congo chiede: “Come ti chiami?” E alla sua risposta: “Mi chiamo Chiara”, aggiunge: “Io sono Luca. Chiamami Luca!”. Nell’ordinamento italiano agli Ambasciatori tocca il titolo di Eccellenza…
Un episodio che la dice lunga su quello che un cristiano fa e del suo impegno senza fronzoli per gli altri.
Un impegno che si alimenta ad una partecipazione all’Eucarestia non esibita, anche alle 6 del mattino in una povera cappella di Suore e che dà coraggio ed entusiasmo ai fratelli che in Congo stanno spendendo la vita per la gente, come attesta anche un importante rappresentante della Comunità di S. Egidio, presente in quel paese. Un cristiano che fa la differenza anche nella sua vita privata: sposato con una donna, mamma di tre bambine, contagiata anche lei nel bene e impegnata in una associazione “Mama Sophia” che si occupa delle mamme sole e di 14mila bambini di strada. Perché un cristiano non è uno egoisticamente solo preoccupato di “salvarsi l’anima” o orgoglioso di essere diventato un VIP, ma uno che sta tra la gente, serve la gioia degli altri e contagia nel bene.
Mi sono domandato: come e dove nasce un cristiano così? La risposta mi è venuta dal suo parroco di Limbiate che ci presenta Luca come un giovane brillante e uno studente esemplare pienamente inserito in Parrocchia e in oratorio, impegnato da sempre ad occuparsi dei poveri e a trasformare la fede in opere di Vangelo. Una comunità dalla quale non si distacca perché “ha fatto carriera”, ma alla quale è collegato e ritorna sempre per ricevere e dare, come si fa in famiglia.
Vorremmo che tanti giovani fossero così. Ce ne saranno, se invece di impasticcarli burocraticamente di Sacramenti, ci prenderemo cura di loro e ci preoccuperemo di farli rimanere nelle comunità.
Perché per “formare il cristiano” non serve soltanto la dottrina (quante sciocchezze sono state dette in passato sull’ “istanza veritativa” nella catechesi e sulla necessità di “istruire”, come se la parrocchia fosse una scuola di catechismo dove si va per acquisire il diplomino per ricevere i sacramenti). Quanti giovani ha allontanato dalla fede questa folle e riduttiva prassi pastorale! Quante comunità si sono preoccupate della dottrina, allontanando i giovani e creando comunità asfittiche, incapaci di accoglierli, incolpando ingiustamente i poveri insegnanti di Religione del fallimento della pastorale giovanile, che è compito innanzitutto della parrocchia!
La storia tragica ed esemplare di Luca, più che riempire noi cattolici di vano orgoglio, deve farci riflettere sulla necessità di trasformare le nostre parrocchie in spazi vivi e fraterni dove i ragazzi vanno non per ricevere un contentino sacramentale, ma per vivere la gioia di essere uomini con gli altri, mettendosi alla scuola del Maestro.
Purtroppo la paura di perdere spazi (e consensi) impedisce a molte parrocchie e diocesi di realizzare quella “conversione pastorale” a cui ci invita Papa Francesco nella Evangelii Gaudium. Chi invece l’ha fatta (oratori veri, Movimenti, Associazioni, Comunità, Parroci che hanno avuto il coraggio di non puntare solamente su una pastorale infantile che abbandona i giovani nei momenti più difficili e complessi della vita, come l’adolescenza, trasformando il Cammino per la Confermazione in una occasione preziosa di un “noviziato della fede” che li inizi a vivere insieme nella Comunità cristiana…), oggi forma cristiani per il Terzo Millennio.
Chi non ha questo coraggio corre il rischio di rimanere a piangere sulla “nequizia dei tempi” con quella pattuglia di capelli bianchi che, sempre meno numerosi, ancora si presenta in Chiesa per compiere i propri “doveri religiosi”.
Ma noi cristiani siamo debitori verso i nostri contemporanei di quel Regno che è umanità nuova per il mondo e che persone come Luca Attanasio testimoniano essere possibile.
+ don Valentino