Durante le omelie talora vediamo volti distratti o annoiati, perché, a detta di alcuni: “i preti dicono sempre le stesse cose”.
Non è vero, ma questa impressione penso sia motivata spesso da un linguaggio lontano dalla vita, apologetico o moralistico e poco legato alla Parola di Dio.
Attenti agli sbadigli delle loro “pecorelle”, alcuni pastori hanno cercato di rendere le omelie meno noiose o trasformandole in “omelie-lampo” o infiocchettandole di citazioni di personaggi alla moda, di fatti di cronaca, di racconti di film… o inserendo nelle celebrazioni elementi spettacolari come canti, balli (?), suoni di strumenti insoliti, persone travestite da personaggi sacri… Al di là di una prima attenzione suscitata dalla curiosità, normalmente tali espedienti non hanno migliorato la qualità della partecipazione dei fedeli alle nostre Messe, perché ancora una volta appannano e non rivelano la vera Novità, che non viene dal basso, ma dall’Alto.
Guardando alla mia esperienza, penso che tale difficoltà dipenda in gran parte dall’approccio (ancora?) carente alla Parola di Dio nella formazione dei Sacerdoti (e anche dei laici), che spesso li induce a non cogliere pienamente e a trasmettere poco la novità del messaggio rivelato, continuando ad appesantirlo con elementi estranei. Mentre è soltanto la Parola di Dio che introduce nella nostra vita la vera novità: il Volto e i pensieri del totalmente Altro, cioè di Dio Amore. Soprattutto con l’Incarnazione, questo Volto e questi pensieri diventano vicini e accessibili nella esperienza di Gesù, “la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), che ci rivela quella logica di Dio che è diversa da quella dell’uomo e la supera come i cieli superano la terra (Cfr. Is 55, 8-9). Egli, infatti, essendo vero Dio, ma anche vero uomo, con le sue parole e i suoi gesti insegna agli uomini a rendere bella e degna la loro storia, liberandola dal vecchiume dei comportamenti legati all’egoismo ed al peccato che abbassano il livello dei sogni e delle vicende degli uomini. In particolare, Gesù ci insegna che non siamo individui ma “figli”, cioè persone in relazione, pienamente legate le une alle altre “nella stessa barca”, chiamati a costruire il NOI, cioè l’umanità come famiglia.
Chi è chiamato ad annunciare la Parola, quindi, deve essere preoccupato di intercettare nei Gesti e nelle Parole di Gesù, non tanto aspetti prettamente storici o dottrinali, ma il modello nuovo di uomo che Egli testimonia per proporlo ai fratelli e rendere la loro esistenza autenticamente umana, senza nascondere che, come nella vicenda di Gesù, essere nuovi e veri porta a scontrarsi con il vecchiume di un mondo corrotto e sprezzante nei confronti della vita. Questo è il senso della Croce per il cristiano: essa non vuole suscitare né rassegnazione, né compassione, né sensi di colpa, ma, come nella esperienza di Gesù, solo un grande desiderio di vivere in maniera alta la propria vicenda umana, ascoltando Dio e appassionandosi ai fratelli, anche a costo di essere perseguitato e combattuto.
Sulla Croce il Vangelo non ci presenta un masochista, ma il punto più alto della vita di un uomo vero.
L’omelia, che deve sempre partire dalla Parola di Dio, deve intercettare questa novità non soltanto nel gesto di umanità più alto rappresentato dalla Croce, ma anche nelle parole e nelle scelte, prossime (tutta la vicenda di Gesù) o remote (come l’Antico Testamento) che la preparano e suggeriscono comportamenti qualitativamente alti e fortemente innovativi dell’essere umano. Pensiamo ad esempio agli episodi del Figlio prodigo (Lc 15, 11-32), del tributo a Cesare (Mt 22, 15-21) o dell’adultera (Gv 8,1-11), che avrebbero avuto un esito totalmente diverso e scontato se fossero stati risolti secondo la vecchia logica del mondo e della Legge, e non – come fa Gesù – secondo la novità di Dio.
Quello che dovremmo tener presente, soprattutto noi sacerdoti, è che allontanarsi da questa prospettiva significa perdere la grande occasione non soltanto di non annoiare i nostri fedeli, ma soprattutto di fare della Chiesa e dell’annuncio del Vangelo una occasione per far crescere in umanità la storia e le piccole storie delle nostre Comunità.
Ho avuto la fortuna di essere introdotto a questo tipo di approccio alla Parola di Dio dalla mia catechista Maria Mosiello, fin da quando mi preparavo alla Prima Comunione. Lei era capace di incantare una trentina di bambini vivaci e seduti su scomode panche, facendo notare, mentre narrava il Vangelo, il salto di qualità presente nei comportamenti di Gesù di fronte agli altri personaggi e soprattutto ai suoi persecutori. Questa preoccupazione di fare dell’annuncio della Parola l’occasione per arricchire la storia degli uomini con la novità di Dio, l’ho visto presente e realizzato nelle omelie e nelle catechesi di tanti sacerdoti e laici e, ultimamente, in Padre Fabrizio Cristarella Orestano, Priore del Monastero di Ruviano (CE) e nella memorabile omelia di Papa Francesco durante la celebrazione vespertina del 27 marzo 2020 in una Piazza S. Pietro vuota, rivolta a persone terrorizzate del Covid19 che lo ascoltavano tramite i media.
In queste occasioni ho visto, inoltre, non una Chiesa “maestrina” con le soluzioni (teoriche e moralistiche) già pronte, ma una Madre premurosa che di fronte ai danni provocati dal vecchiume di certi comportamenti egoistici, annunciando la Parola, indica la via nuova di Dio per riabilitare la storia e rendere l’uomo più uomo.
Cristiani annoiati? Preti ripetitivi o attori?
Sono tutti segnali che devono spingerci a metterci in ascolto della novità di Dio custodita nella sua Parola, per essere comunicatori e testimoni di quella umanità nuova realizzata da Gesù che viene da Dio e che fa di noi cristiani gli “uomini nuovi” perché educati a cogliere e ad accogliere la novità del Vangelo.
+ don Valentino