La terza età, si sa, è tempo di bilanci. Anche a chi scrive, viene spontaneo fare valutazioni sulla propria vita sacerdotale, nella consapevolezza sempre più lucida che l’esistenza è un grande dono, ma è anche un segmento breve che ha un inizio e una fine, cui ci si deve preparare con la serenità di chi sa che non si va verso il nulla ma verso un incontro, un abbraccio, quello del Signore.
Qualche giorno fa mi domandavo quale potesse essere per un prete la prova del nove della riuscita della sua missione e mi venivano in mente tante cose, ma soprattutto la frase che mi disse un vecchio e santo prete quando io ero ancora un ragazzo: “Sono contento perché dal mio sacerdozio il Signore ha fatto nascere altri due ministri dell’Altare, cui potrò consegnare il mio calce quando il Signore mi chiamerà a sé”.
Effettivamente penso che per un sacerdote la cosa più bella sia quella di lasciare il suo posto ad un altro che il Signore ha chiamato al Sacerdozio per la sua preghiera, il suo esempio e per averlo contagiato con la sua passione per il Vangelo. Spesso rifletto che se nel mio paese non ci fosse stato un parroco come don Alfredo D’Addio, che da giovane prete aveva mandato in Seminario una trentina di ragazzi, suscitando tra i fedeli grande sensibilizzazione ed impegno per le vocazioni e il Seminario, forse la mia vicenda umana sarebbe stata diversa. Di questi ragazzi tutti lasciarono il Seminario, ma la pastorale vocazionale è come un seme gettato che produce frutto quando il Signore vuole. Infatti soltanto dopo che lui lasciò Frasso e la Parrocchia di Santa Giuliana, nel giro di alcuni anni 3 giovani frassesi furono ordinati preti (cui seguirono successivamente altri due). Nel clima così sensibilizzato alla preghiera per le vocazioni, sempre a Frasso, ma nella mia parrocchia del Carmine (l’altra parrocchia del paese), arrivò un nuovo sacerdote, don Callisto Lapalorcia, che fece scattare in me la scintilla della vocazione. Prego ancora con tanto affetto e riconoscenza per questi due sacerdoti senza i quali forse non avrei fatto questa scelta di vita e continuo a pensare con ammirazione ai preti della mia diocesi di origine, Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti, dove ne ho conosciuto tanti zelanti per le vocazioni, preoccupati di “consegnare il loro calice”, non per gloriarsi, ma come un fatto naturale derivante dal loro ministero e da una paternità sacerdotale fortemente vissuta e preoccupata di garantire il dono del sacerdozio alle generazioni future. Qualche anno fa mi capitò di partecipare ad un evento liturgico in una piccola parrocchia di quella Diocesi. Mentre aspettavamo il Vescovo, mi commossi vedendo il vecchio parroco che parlava dei suoi ministranti, confidandoci la sua speranza che uno di loro entrasse in Seminario. Anche in altre diocesi ho trovato preti così, capaci di curare giovani, di contagiarli con il proprio entusiasmo e aiutarli a capire la chiamata speciale del Signore al Sacerdozio. Si tratta di preti buoni, zelanti, umili che sono la ricchezza della Chiesa e delle nostre Comunità. Ed è bello sentirne parlare con affetto da parte di preti giovani, che devono a loro, oltre che al Signore, la propria scelta.
È triste invece venire in contatto con alcuni preti che di fronte al problema delle vocazioni sacerdotali si pongono o con l’indifferenza di chi pensa che la cosa non li riguardi, o con l’illusione che di fronte alla carenza di vocazioni si provvederà importando preti dal terzo mondo, o con la presunzione di risolvere il problema vocazionale partecipando a mille convegni di esperti, facendo analisi “dotte” o pensando che la brillantezza o la magia del prete influencer basti a condurre qualche giovane alla scelta del sacerdozio. Ha causato sempre in me particolare sofferenza l’atteggiamento duro ed eccessivamente esigente di taluni preti mediocri nei confronti di giovani da ammettere al Sacerdozio, come pure la sfiducia nel sacerdozio, e quindi l’abbandono del Seminario da parte di giovani disillusi e scoraggiati di fronte al cattivo comportamento di qualche sacerdote o addirittura di qualche educatore del Seminario. In questi contesti poco attenti al problema vocazionale ho visto spesso che a fronte della scarsità di seminaristi diocesani, nascevano vocazioni religiose (e meno male!), che ovviamente lasciavano il territorio. Perché il Signore chiama e sovente la carenza di candidati al Sacerdozio dipende dalla mancanza della preghiera e dello zelo di pastori, incapaci di intercettare quel dono e aiutarne il discernimento.
Da prete che ormai ha superato da qualche anno il mezzo secolo di ministero, mi convinco sempre più che la vocazione è soltanto un dono divino. Durante la Visita pastorale nella Diocesi di Alife-Caiazzo spesso i ragazzi mi chiedevano perché fossi diventato sacerdote. La mia risposta era sempre la stessa: “Non lo so. Il Signore mi ha messo questo desiderio nel cuore”.
Nella mia esperienza ho constatato che la vocazione sacerdotale è un fatto straordinario, di provenienza non umana, che puoi contrastare, cercare di annullare…, ma se è autentico in qualche modo rispunterà sempre. Quando ero vice-parroco a san Luca, c’era un bambino che mi disse che voleva diventare Sacerdote. Era convintissimo e mi fece parlare anche con i genitori che si opposero alla cosa per la giovane età del figlio. Passarono degli anni, io lasciai San Luca e fui chiamato in Vicariato, abitando nel Collegio Santa Maria, dove Andrea (si chiama così) frequentava il Liceo. Ci vedevamo quasi quotidianamente nel cortile e ci salutavamo con affetto, senz’alcun riferimento a quel lontano episodio. Ma un giorno, prima della maturità, mi chiese di parlare. Iniziò cosi: “Don Valentino, ti ricordi di quel discorso avviato qualche anno fa? Ecco adesso sono pronto per entrare in Seminario. Mi accompagni? Mi presenti al Rettore?”. Andrea oggi è un bravo prete di Roma.
Con lui entrò poi in Seminario anche un altro ragazzo di San Luca, Valerio. Da bambino lo chiamavo “il teologo” perché, a differenza dei suoi coetanei, che intervenivano con risposte talora imprecise, lui rispondeva sempre con lucidità e chiarezza durante le omelie dialogate. Anch’egli oggi è parroco di una Chiesa romana di periferia.
La sensazione di stare davanti all’opera del Signore l’ho provata anche da Vescovo ogni qualvolta un ragazzo mi ha chiesto di entrare in Seminario. Si, la vocazione è soltanto un dono divino, ma per emergere ha bisogno di preghiere, di esempi e di “scintille”, che la rivelano e l’accendono e che in gran parte dipendono dallo zelo e dalla vita santa dei sacerdoti che si incontrano e sono sensibili ad una pastorale vocazionale umile e feriale, frutto di una persona felice di essere prete. Passare il calice in altre mani che continueranno a celebrare l’Eucarestia, è la prova del nove di un ministero sacerdotale riuscito. So anche che ci possono essere tante circostanze per cui un miracolo del genere non avviene subito o addirittura nel corso di una vita, ma un prete che ama il Signore getta sempre semi che prima o poi spunteranno e fioriranno.
+ don Valentino