Il Covid a noi cristiani ha rivelato che “il re è nudo”: ha bloccato una prassi pastorale incentrata prevalentemente sui riti, le devozioni e le tradizioni religiose, che non fa crescere la comunità (e la fede), ma, come dice Papa Francesco, “occupa spazi” e non “avvia percorsi” e che, alla fine, non forma cristiani capaci di trasformare la storia, ma praticanti, in gran parte occasionali e, purtroppo, individualisti.
La stessa centralità dell’Eucarestia riaffermata dal Concilio Vaticano II, sovente si è ridotta alla partecipazione a una cerimonia legata prevalentemente al suffragio dei defunti, che non porta i partecipanti al “Fate questo in memoria di me!” educandoli a riprodurre nella vita i gesti e i sentimenti di Gesù, ma a sentirsi soddisfatti per aver ricordato una persona cara che non c’è più o a rassicurati circa i propri sensi di colpa, le proprie paure e i propri rapporti col Trascendente.
Ho l’impressione che il Covid abbia fatto saltare il banco.
Impedendo a molti di vivere le solite ritualità, ha dato un duro colpo alla religione dei praticanti. E anche alla pastorale: si è avuta l’impressione che, tolti i riti, molti preti non sapessero cosa fare. Taluni hanno moltiplicato le trovate folkloristiche che attirano ma non convertono, molti si sono impegnati a trasmettere via streaming delle Messe celebrate da soli in chiese vuote, che fanno venire tanta tristezza. Chiamati dal Vangelo a vivere la religione della vita, si è continuato a praticare la religione del Tempio…
Si capisce perciò la reazione di qualche Vescovo che di fronte alle Chiese chiuse per covid ha gridato (incoscientemente) all’ “attentato alla libertà di culto”, dimenticando che quello di adeguarsi alle norme emanate dall’Autorità civile è stato solo un grande atto di responsabilità e di amore verso i fratelli e che il culto non si svolge solo in chiesa.
A tale proposito è interessante conoscere cosa avvenne in Giappone tra il 1614 e il 1859.
La storia del Cristianesimo in quella Nazione, avviata con la predicazione del gesuita San Francesco Saverio nel 1549, narra che a partire dal 1614, esso fu bandito dal Paese. Ebbero allora inizio le prime persecuzioni, che divennero man mano più violente e crudeli. Dopo il martirio dell’ultimo prete, nel 1644, i cristiani vissero la loro fede in clandestinità. Con la riapertura delle frontiere agli stranieri, a partire dal 1859, poterono però rientrare anche i sacerdoti e fu così che, nel 1865, padre Bernard Petitjean, un missionario francese, venne a conoscenza di cristiani che per 7 generazioni, in mancanza dei sacerdoti, avevano fatto leva su risorse spirituali diverse dai Sacramenti per conservare e vivere la fede in Gesù Cristo.
La ricerca di nuove risorse spirituali è un problema vivo nella Chiesa afflitta dal Covid, ma le risposte sono molto deludenti. Si sostituisce una prassi pastorale incentrata sui riti, con gli stessi riti trasmessi via streaming (e solitamente pochissimo seguiti), o con conferenze trasmesse via web da questo o da quel Vescovo o sacerdote che invece di suscitare corresponsabilità nei confronti dell’Annuncio, lo rende ancor di più appannaggio di alcuni, riaffermando una certa mentalità clericale che riserva l’evangelizzazione ai soli ministri ordinati. Oppure con un catechismo (in presenza o in streaming) fatto dal solo sacerdote a tutti i bambini, abolendo la divisione in gruppi, accantonando i catechisti e, quindi, deresponsabilizzando ulteriormente i laici nei confronti dell’annuncio della Parola. Oppure moltiplicando Rosari ed ore di Adorazione in TV o via web proposte a persone che non sanno pregare personalmente e che ripetono formule o prassi tese a convincere il Signore di far cessare la pandemia, come se ne fosse Lui la causa e andasse svegliato moltiplicando le parole e i lamenti.
Penso che il necessario recupero delle nuove risorse spirituali, capaci di rinvigorire la comunità cristiana, debba partire dal superamento del virus del clericalismo e dal chiederci come recuperare quegli spazi di ascolto, di discernimento, di preghiera e di prassi di fede che sostennero i nostri fratelli giapponesi in tempo di persecuzione.
Nel ricercare questa nuova strategia pastorale è innanzitutto necessario coinvolgere i laici degli Organismi di Partecipazione (Consiglio pastorale…) e i Membri della Associazioni e dei Movimenti ecclesiali.
Al riguardo, sono in atto vari tentativi, come quello di affidare la catechesi dei figli ai genitori, fornendo loro strumenti necessari e stabilendo contatti per prepararli e sostenerli, trasformando i catechisti, liberati dal (talora) soffocante rapporto io-classe, in aiuto dei genitori investiti del nuovo compito.
In un contesto dove il distanziamento impedisce di incontrarsi liberamente per le celebrazioni, altri pastori hanno individuato nuove possibilità per far avvicinare la gente alla Parola di Dio, non tanto moltiplicando conferenze di esperti, ma recuperando via streaming, il confronto tra Parola e vita, aprendo dialoghi e dibattiti tra piccoli gruppi collegati (qualcuno ha recuperato il metodo di Sant’Alfonso del “dotto e dell’ignorante”).
A questo riguardo penso a quale importante aiuto potrebbero fornire l’Azione Cattolica o altre Associazioni e Movimenti ecclesiali!
Questa responsabilità rivolta a famiglie o a piccoli gruppi di famiglie ha impegnato molto alcuni sacerdoti, che oltre a far riscoprire la Parola di Dio, come chiave di lettura della vita, intorno ad essa hanno tenuto insieme e fatto crescere la comunità. Altri hanno organizzato incontri di preghiera a piccoli gruppi, non soltanto impostati sulla ripetizione di formule, ma come scaturenti dalla stessa lettura della vita alla luce della Parola di Dio, secondo l’esemplare metodologia usata da Papa Francesco il 27 marzo 2020 in Piazza S. Pietro, oppure hanno invitato le famiglie a collegarsi tra loro, pregando settimanalmente alla stessa ora.
Il Covid ha spinto alcuni pastori, tramite i bambini, a invitare a reintrodurre le preghiere del mattino e della sera o quelle prima dei pasti, momenti belli che danno una dimensione di fede alla giornata. Altra strada per costruire e tenere insieme la Comunità cristiana, è stata individuata nella cura degli anziani, i più penalizzati dalla pandemia e i meno attrezzati all’uso delle nuove tecnologie, raggiunti da un foglietto settimanale della parrocchia con brevi riflessioni e notizie sulla vita della comunità, e dalle lettere dei bambini, invitati (nel rispetto della normativa) in tal modo a raggiungerli per tener loro compagnia, e pregare a distanza per loro e con loro in un determinato tempo della giornata.
Ammirevole è stata poi l’opera di molte Caritas che hanno mobilitato i giovani a prendersi cura dei poveri, a censire le loro necessità, a condividere con loro dei beni materiali e ad ascoltare e provvedere ai loro bisogni.
Una parrocchia che si attiva a questo livello, non piange sulle chiese vuote, ma partendo dal Covid, ricostruisce la vita di relazione e la Comunità cristiana, preparando la rinascita della vita religiosa del territorio e una partecipazione più gioiosa e consapevole alla celebrazione dei riti, percepiti come celebrazioni di tutta la Comunità cristiana.
Diversamente il dopo Covid sarà solo un materiale ritorno al passato con la tristezza di aver sprecato una grande occasione che il Signore ci offriva per la nostra conversione pastorale.
+ don Valentino