Questo tempo liturgico non è un gioco che ci prepara al Natale.
Gesù è nato circa 2000 anni fa e non ci è domandato di far finta di attenderlo scimmiottando il popolo dell’antica Alleanza, i profeti e i pastori… A noi è chiesto altro.
L’Avvento ci pone domande serie sulla vita, le pone soprattutto a noi cristiani, che talora abbiamo fatto della fede una prassi ritualistica, soporifera, senza slancio e direzione, che ci fa restare muti e sgomenti di fronte ad eventi che sconvolgono le nostre sicurezze e i nostri ritmi orizzontali, rendendoci soltanto capaci di chiedere a Dio – come bambini smarriti – che tutto torni come prima.
Di fronte agli sconvolgimenti del mondo, il cristiano non fugge e non si arrende, ma “alza il capo” (cfr. Lc 21,28), scorgendo nel suo futuro un Volto amico, quello del Dio che viene, cioè del Dio che gli ha rivelato il Figlio, che si muove verso di noi perché ci ama ed è garante della riuscita della storia.
Per chi si è assopito, l’Avvento è l’occasione per riaffermare che l’esistenza non è vicenda illusoria o attesa solitaria e timorosa di improbabili miraggi, ma di Dio che viene e che salva, cioè dona il volto autentico all’uomo che ha creato a sua immagine.
Nel tempo dell’Avvento il cristiano vede il modello della sua vita, che è andare incontro al Signore che verrà alla fine della storia per restituirle il suo volto bello, e nel frattempo in questa stessa storia – resa ambigua e piena di contraddizioni dal peccato di quanti hanno addormentato in sé la consapevolezza e la felicità di essere figli amati – è in perenne e vigile ricerca dei segni del ritorno del suo Signore: nella Parola e nei Sacramenti, nei volti dei fratelli piegati e feriti, nei gesti di amore, nelle invocazioni di pace. In questo tempo che ci ricorda che Dio accorcia le distanze con noi, ciascuno di noi è invitato ad accoglierlo per riprodurre nei propri gesti e nelle proprie parole questo amore che si fa vicino: nel servizio amorevole verso un malato di Covid, nella dedizione dei genitori che continuano a donare vita e a scommettere sul futuro dei figli, nel servizio umile e nascosto di insegnanti e catechisti, nell’impegno di tanti operatori caritas o di vicini di casa che si fanno prossimi amorevoli dei fratelli, in chi lotta per la dignità della donna e per rendere la bellezza di essere uomo ai curvati della storia…
Nello spianare le strade per testimoniare il suo arrivo, il cristiano è sostenuto dalla certezza che Egli è venuto, viene e verrà.
In questa vita che è attesa del Volto di un Dio ricco di amore e di misericordia che ci viene incontro, e dei segni della sua venuta nel presente, il cristiano fa memoria della Sua prima venuta: celebrando il Natale, fa entrare quel mistero di tenerezza e di amore nel proprio vivere quotidiano perché faccia germinare frutti di salvezza, alimenti la gioia dell’attesa e prepari l’incontro definitivo col Signore che viene. In questo modo il credente non fa festa per il Bambino che nasce, ma scoprendo e realizzando i segni della sua Venuta, testimonia al mondo il volto vero dell’uomo, quello che assomiglia al Noi divino e si costruisce nella comunione fraterna e che il Figlio ha voluto restaurare con la sua prima venuta, riscattandolo dal disfacimento del peccato.
+ don Valentino