«Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi, dove si possa dire: “Qui si respira un clima di comunità, che bello trovarci!”… Sogno cristiani che non si ritengono tali perché vanno a Messa tutte le domeniche (cosa ottima), ma cristiani … che credono in Dio per nutrire la propria vita e per riuscire a credere alla vita nella buona e nella cattiva sorte. Non comunità chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità aperte, umili, cariche di speranza; comunità che contagiano con la propria passione e fiducia. Non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a tutti. Carica di entusiasmo, passione, speranza, affetto».
Queste belle parole di Mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo (guarito dal Covid19, dopo aver corso un serio pericolo di vita), non esprimono un sogno personale, ma ci dicono cos’è la Chiesa, perché è stata fondata da Gesù, perché siamo cristiani e perché esistono le nostre parrocchie. Per costruire questa comunità di uomini e di donne che seguendo il Vangelo rendono bella la vita loro e degli altri, Gesù, attraverso i suoi ministri, ci incontra nei Sacramenti, ci prende per mano per donarci la sua passione d’amore, il suo Spirito, e trasformarci da individui in conflitto e in competizione, in persone che sanno creare relazioni buone, sanno guarire ferite e dare speranza, sanno sentirsi “famiglia” con tutti.
Battezzare un bambino, infatti, significa accoglierlo in una comunità di persone che, sentendosi amate da Dio si considerano fratelli, credono nella vita e sanno che “nessuno si salva da solo”, perciò si fanno carico di lui per insegnargli a diventare uomo seguendo Gesù e a preservare la sua vita dall’egoismo, dalla violenza, dall’inquinamento umano che le azioni cattive producono. Si entra nella Comunità cristiana per rimanervi e crescervi. Tutto il rito del Battesimo è: accoglienza, incontro con Gesù che libera dalle conseguenze del male, che parla al cuore, inserisce nella comunità dei discepoli e immerge (= battezza) nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito per far passare dalla condizione triste e solitaria dell’individuo a quella di uomo con gli altri, capace di sentirsi realizzato, facendo fiorire la vita dei fratelli, servendo, ascoltando, illuminando.
L’essere prolungamento della missione di Gesù di trasformare gli uomini in famiglia, che nel Battesimo è ricevuto solo come dono, nella Cresima è assunto consapevolmente. Questo sacramento infatti rende il credente in Gesù adulto e responsabile della costruzione della Comunità: cristiano per scelta, costruttore di relazioni sane, di Chiesa.
La Riconciliazione (Confessione) invece, è il Sacramento che ci riporta nella logica della fraternità e della condivisione dalla quale ci hanno allontanato le nostre scelte egoistiche, i peccati, che non sono infrazioni di regole, ma scelta di essere individuo in conflitto e in competizione, costruttore di felicità solitaria. Chi riceve il sacramento della Penitenza, rendendosi conto che quella scelta è fallimentare, chiede al Signore di ridiventare figlio di Dio e fratello, capace di essere in relazione e a servizio degli altri nella comunità. Si era separato col peccato, rientra nella famiglia dei figli di Dio con il perdono sacramentale.
L’Eucarestia è il momento di festa in cui i cristiani, tentati e illusi dall’egoismo e assediati dalle paure, si ritrovano con Gesù per recuperare il segreto della vita: vive veramente chi si dona. Possiamo paragonare la Messa a un mulino. Arrivano chicchi appuntiti che, incontrando Colui che sulla Croce ha donato la vita e si è fatto pane per noi, si trasformano in farina e pane per dare vita ai fratelli. Devo ringraziare i bambini di san Luca al Prenestino a Roma e di Alife che mi hanno fatto scoprire la gioia di sentirsi famiglia intorno all’Eucarestia e la Messa come la bella festa nella quale sperimentiamo la gioia di essere tutti fratelli, vinciamo le paure e il male che è nel nostro cuore e riceviamo il Pane eucaristico non come un qualcosa di sacro e di rassicurante, ma con la voglia di vivere come Gesù, donandoci, per far fiorire la vita nostra e quella degli altri. Quelle belle e intense Messe vissute mi fanno venire il dispiacere di essere avanti nell’età e di non poterle celebrare più fra qualche anno. Ma poi penso che le Messe del Cielo sono ancora più belle.
Mi viene tanta tristezza nel vedere che alcuni, forse troppi, vivono i Sacramenti come un fatto individuale. Anche nel linguaggio corrente, troppo spesso si mette sempre in evidenza la dimensione individualistica, l’IO: “ho ricevuto il Battesimo”, “ho fatto la cresima”, “ho ricevuto la Comunione”, “mi sono confessato e mi sono messo a posto la coscienza”, “mi sono sposato”, “sono diventato prete”, “ho ricevuto l’Unzione degli Infermi” dimenticando che ogni sacramento ci vuole portare a diventare fratelli nella comunità cristiana, ad entrare in relazione con gli altri, a costruire comunità. Si perde così il senso autentico di questi incontri in cui Gesù ci vuol far passare da una vita egoistica a una vita da fratelli, dall’essere uomini da soli e contro gli altri alla gioia di vivere insieme e di condividere la bellezza dell’esistenza. Ricevere i Sacramenti in modo individualistico è tradire la loro vera finalità.
Perciò la preparazione ai Sacramenti non deve ridursi a lezioni (dotte o “frizzanti”) tenute dal solo parroco, ma esige la presenza delle varie componenti della Comunità (sacerdote, catechisti laici o religiosi, membri della caritas…) in cui i giovani o gli adulti sono chiamati ad inserirsi. Infatti, più che momenti di istruzione, questi sono percorsi di introduzione ad un modello di vita nuova che si struttura intorno all’incontro con Gesù nella Parola e nei Sacramenti e che non prescinde dagli altri, ma che sono gestiti da cristiani normali che più che “aver studiato” vivono già la vita fraterna nella parrocchia. Ricordo con gioia gli incontri delle coppie della Parrocchia di Alife con i genitori che chiedevano il battesimo per i loro figli o quelli con i genitori dei bambini di prima Comunione tenuti dai laici in diverse parrocchie della Diocesi di Alife-Caiazzo: tutto avveniva in un clima di accoglienza e di confronto, molto lontano da quello generato da pesanti lezioni di teologia.
Quando si esclude l’apporto della Comunità, succede che ci si prepari a celebrare i Sacramenti come un rito beneaugurante e che si consideri la Chiesa come una specie di “scuola guida” alla quale non si va più quando si è presa la patente. Mi sono spesso chiesto: se noi preti parliamo sempre di “corsi di preparazione ai sacramenti”, perché, quanti li hanno ricevuti dovrebbero continuare a frequentare la parrocchia, se li abbiamo educati soltanto a celebrare riti personali in cui gli altri, la comunità cristiana non c’entrano quasi per niente?
Da Vescovo di Alife-Caiazzo, progettando l’itinerario diocesano per l’iniziazione cristiana e spostando l’età della Cresima a 16 anni, mi sono imbattuto nel problema dei ragazzi della Scuola Media (10-14 anni), domandandomi con i Collaboratori come motivarli a frequentare la parrocchia, visto che non dovevano prepararsi più a un Sacramento. Pensai che era ora di finirla di trattenere i ragazzi sempre con il ricatto del Sacramento e, invece, di educarli a frequentare la Chiesa, non per ricevere “qualcosa”, ma “perché è bello!” (e nel Sinodo facemmo delle proposte in tal senso). È la motivazione che dovremmo avere sempre anche noi adulti con la consapevolezza che la fede ci fa diventare discepoli di Gesù e che l’incontro con Lui e i fratelli ci dona una esperienza piena di umanità e rende bella la vita.
+ don Valentino