Penso che la gestione del momento di passaggio che sta vivendo la Diocesi di Alife-Caiazzo sia molto delicato e richieda qualità e passione non indifferenti in quanti sono chiamati a gestirlo. Si tratta di una responsabilità “che fa tremar le vene e i polsi”, soprattutto se si guarda con fede alla posta in gioco e con senso di responsabilità ai danni fatti dalle Amministrazioni Apostoliche degli anni sessanta/settanta. In proposito, tante volte mi è venuto di domandare cosa sarebbe stata la Chiesa nel territorio, se allora si fosse proceduto con la consapevolezza di gestire non una “pratica” da sistemare da parte di freddi “proconsoli”, ma la storia e la speranza di un popolo e di un territorio. Invece questo aspetto lo si è sottovalutato e, prendendo spunto da reazioni talora improvvide di questa o quella popolazione, si è ridotto il problema a banali questioni di nostalgia e di campanilismo, tra l’altro, spostandolo dal naturale ambito ecclesiale a quello laico e alimentando notizie false e tendenziose, che creavano sfiducia, scompiglio e divisioni tra i fedeli. Pur soffrendo per una decisione che ho accolto con grande dolore, mi domando, altresì, a quali conseguenze ci potrebbe portare il rifiuto pregiudiziale di obbedire al Papa, impuntandosi su posizioni rigide e non motivate dalla fede e dal’obbedienza evangelica: rischieremmo di farci cadere la decisione addosso, delegando a mani meno appassionate delle nostre, il futuro della Chiesa nel territorio.
Se non possiamo modificare la situazione, penso che sia meglio essere protagonisti!
Al riguardo, la consapevolezza di aver acquisito come vescovo emerito una conoscenza approfondita e non comune della storia e della situazione dell’intera diocesi di Alife-Caiazzo, mi sollecita a offrire alcuni sommessi suggerimenti per guardare oltre questo momento difficile ed impegnarsi con fede ed entusiasmo, oltre che con stile e metodo, per rispondere adeguatamente alle decisioni del Santo Padre.
Innanzitutto, facendo tesoro di quanto è avvenuto in passato, ritengo che ciò che è stato avviato con la nomina di un Amministratore Apostolico per Alife-Caiazzo non possa essere soltanto operazione di vertice, gestita nelle segrete stanze, ma abbia bisogno di tanta preghiera, di discernimento, di coraggio nell’esporre le proprie idee, di coinvolgimento a vari livelli ecclesiali, compreso quello dei laici di cui il Concilio ha evidenziato il ruolo e la grande ricchezza per la Chiesa, per evitare il prevalere dello spirito del mondo e la tentazione di trasformare un fatto ecclesiale in banale “operazione di politica ecclesiastica”. Bisogna cioè imparare a trasformare un decisione dolorosa che viene dall’alto in occasione di crescita nella fede e nella comunione. A tal fine, a mio sommesso parere, sarebbe opportuno intraprendere alcune esperienze, in parte già realizzate, che potrebbero meglio preparare un eventuale futuro:
1. riprendere alcune iniziative relative all’incontro e alla collaborazione del Clero delle diocesi interessate per creare conoscenza, comunicazione, apprezzamento dei doni che lo Spirito ha suscitato e sta suscitando in esse;
2. avviare attente e coraggiose analisi sulla situazione ecclesiale e su eventuali criteri comuni di gestione dei vari ambiti pastorali: iniziazione cristiana, insegnamento scolastico della Religione cattolica, Caritas, liturgia, spiritualità, pastorale familiare, comunicazioni, patrimonio artistico culturale nonché dell’Amministrazione dei beni, per ipotizzare iniziative di collaborazione e di progettazione comuni, atte a conoscere, valorizzare ed integrare le peculiarità delle diverse tradizioni, con riferimento ai vari contesti sociali, culturali ed economici;
3. iniziare incontri di conoscenza tra le varie esperienze laicali presenti nelle diocesi interessate: Azione cattolica, pastorale giovanile, operatori pastorali …;
4. creare un gruppo di lavoro interdiocesano, dove, senza la pretesa di bruciare i tempi, suscitare il senso di appartenenza ad una realtà più grande;
5. promuovere, ad ogni livello, esperienze di fraternità e di uguaglianza tra i membri e gli organismi delle diocesi interessate, senza far passare la sgradevole e pericolosa mentalità dei conquistatori e dei conquistati.
Ovviamente, tali iniziative sono possibili quando a vari livelli lo spirito di servizio evangelico e la parresia prevalgono sulle logiche di potere, di carriere e di competizione.
A chi potrebbe obiettare che le linee del progetto non sono ancora chiaramente definite ad alto livello e che non bisogna correre troppo, mi viene da rispondere che quand’anche le cose si fermassero, sarebbe comunque un grandissimo vantaggio avere imparato a collaborare tra Chiese vicine e a non procedere in modo isolato e talora contrapposto.
Ma, nel caso le cose procedessero nella linea ora finora intravista, tali suggerimenti avrebbero il sicuro vantaggio di preparare alla eventuale integrazione tra le varie diocesi, senza vinti e vincitori, ma con la consapevolezza di essere tutti chiamati a costruire un progetto più grande di Chiesa in cui riconoscersi fratelli, con la vocazione ad essere “fermento ed anima” del Territorio.
Penso che la realizzazione di tale progetto richieda un lungo cammino e che a tutti sia chiesto di lavorare per un tempo a venire che probabilmente pochi vedranno compiuto. Compito di questa generazione di Vescovi, Sacerdoti e Laici, allora, è quella di preparare in umiltà il futuro, che sarà bello in proporzione dei sacrifici, dell’impegno e soprattutto dei gesti e degli atteggiamenti di comunione che le generazioni presenti avranno posto in essere per realizzarlo.
Inoltre, la consapevolezza che si sta seguendo il soffio dello Spirito, deve impegnare tutti ad un forte rinnovamento spirituale (cosa che in passato non è stata fatta, riducendo tutto ad un fatto di “politica ecclesiastica”): perché, alla fine, la posta in gioco non è la realizzazione di una struttura ecclesiale più consistente, ma ricreare nei nostri territori spesso isolati e in competizione, l’immagine viva del NOI divino, manifestazione dell’Amore trinitario, cioè una Chiesa.
Guardando alle problematiche esperienze passate, attuare con stile sinodale le indicazioni del Santo Padre, potrebbe costituire una operazione esemplare, oltre che per altre realtà ecclesiali che stanno vivendo la medesima situazione, anche per le istituzioni civili e il mondo dell’associazionismo dei nostri piccoli territori, spesso chiamati a gestire operazioni analoghe in un clima di polemica, di conflitto e di competizione.
+ don Valentino