8 maggio 2010. Il pensiero quella mattina fu alle nuvole che sostavano sul Matese: l’accoglienza del nuovo Vescovo ad Alife era stata programmata all’aperto prima dell’ingresso solenne in Cattedrale per la Celebrazione eucaristica e la presa di possesso…
L’Appennino, a pochi chilometri da Alife si riempiva di nevischio primaverile, ma giù a valle prevalsero il sole e il clima sperato.
Era tutto perfetto. Era tersa l’aria di quel pomeriggio: nessuna foschia come di solito accade nella piana alifana, ma tutto nitido e colori accesi. La brillantezza delle cose era specchio di un sentimento sincero, lucente, vivace che si percepiva al tatto, nelle presenze, nell’euforia di tutti, nel coordinarsi di organizzatori e partecipanti, intorno al grande evento.
La Diocesi di Alife-Caiazzo aveva iniziato a preparare l’accoglienza di Mons. Di Cerbo da tempo; infatti il nuovo vescovo, appena conosciuta la data dell’ordinazione episcopale, aveva fissato quella dell’incontro con la sua nuova famiglia.
Nella Curia alifana fu un susseguirsi di riunioni e dialoghi, e la costituzione di un Comitato per coordinare aspetti civili e religiosi del grande momento: fu un tempo di bei confronti tra sacerdoti, i sindaci di Alife, di Caiazzo, di Piedimonte Matese, le associazioni laicali della Diocesi, la Corale diocesana, la Redazione di Clarus, le Forze dell’Ordine, la Protezione civile, il Servizio d’ordine.
Un evento in crescendo, a cui ogni giorno si aggiungevano nomi da invitare, idee da pianificare e realizzare, ma anche ostacoli logistici da superare, soprattutto man mano che crescevano le conferme dei partecipanti sia dalla Diocesi che da fuori. Un’impresa in cui la Chiesa locale non si era mai trovata prima d’ora per accogliere in questo modo (nel modo in cui si sognava) un Pastore, ma per la quale non temeva affatto il limite dell’inesperienza.
Fu un esercizio di gran responsabilità già nei giorni precedenti l’ingresso del Vescovo; ritocchi costanti da portare alla trama che si andava tessendo con entusiasmo, con trepidazione, con attesa.
Come gestire le autorità civili e militari presenti alla Cerimonia? Come rendere migliore l’accoglienza dei disabili, dei fedeli, dei religiosi e delle religiose, dei sacerdoti e dei vescovi?
I risultati premiarono il lavoro di tutti, ma soprattutto lo Spirito lesse nei cuori il desiderio che quella giornata andasse bene e rimanesse per sempre. Era preludio di un tempo che bisognava vivere da protagonisti, tutti.
Nel primo pomeriggio di quel sabato 8 maggio 2010, Mons. Valentino Di Cerbo partì dal suo paese d’origine, Frasso Telesino, dove erano andati a prenderlo Mons. Giulio Farina, allora vicario generale e don Angelo Salerno, cerimoniere vescovile.
Percorrendo la superstrada Telesina entrò nel territorio della Diocesi di Alife-Caizzo all’altezza di Dragoni. Sul Ponte Margherita, geograficamente al centro del territorio diocesano, dove il fiume Volturno lo taglia in due, il nuovo Pastore baciò il suolo prima di proseguire per Alife.
In Piazza della Liberazione ad attenderlo c’erano Mons. Pietro Farina, vescovo predecessore, il Clero diocesano, centinaia di persone, il sindaco facente funzioni di Alife Maddalena di Muccio, il sindaco di Caiazzo Stefano Giaquinto, quello di Frasso Telesino Lino Massaro, tanti altri sindaci in fascia tricolore, il presidente della provincia di Caserta Dott. Domenico Zinzi, il senatore della Repubblica Avv. Carlo Sarro, il dott. Stefano Italiano in rappresentanza del Prefetto di Caserta, i vertici Militari del Matese, il suono festante della Banda, i fuochi d’artificio.
Per la circostanza fu stampato e distribuito un numero speciale di Clarus in cui si ripercorreva brevemente la vita sacerdotale di mons. Di Cerbo, si proponeva anche la cronaca della sua consacrazione episcopale avvenuta appena una settimana prima, e la storia della Chiesa locale (scarica il numero di Clarus).
A coordinare il lavoro giunto poi a questo importante traguardo, un entusiasta e motivato don Emilio Salvatore, parroco di Ave Gratia Plena.
Sul palco si alternarono i saluti di Mons. Pietro Farina, del Vicario don Giulio Farina, del presidente diocesano di Azione Cattolica Avv. Antonio Santillo, del sindaco ff di Alife, Arch. Maddalena Di Muccio che consegnò le chiavi della Città al nuovo vescovo.
Poi prese forma il corteo che, attraversando il centro di Alife, accompagnò Mons. Valentino Di Cerbo fino alla Cattedrale. Fu un procedere lento, interrotto dai saluti della gente numerosissima ai bordi della strada, durante il quale il Pastore volle stringere le mani di tante persone fermandosi spesso per ammirare estasiato e riconoscente le artistiche infiorate che i cittadini avevano realizzato in segno di benvenuto.
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore” si leggeva nello striscione posto sul decumano della città: era festa e preghiera, era entusiasmo, e certezza che la benedizione del Signore era su tutti.
Dal palco della piazza al Corteo che entrava nelle antiche mura cittadine, cambiò molto: Mons. Valentino, passava dal benvenuto all’essere il padre di quella famiglia e con essa si accompagnava a vivere l’intenso momento della Celebrazione eucaristica in cui il Signore confermava ad Alife-Caiazzo l’identità di Chiesa e di gregge.
Il nuovo vescovo non aveva voluto regali per la sua festa e, anticipando ancor prima di giungere in Diocesi la rottura di tanti e consolidati schemi, aveva chiesto che la somma raccolta tra sacerdoti e fedeli per offrirgli un regalo, venisse invece destinata ai poveri e ai bisognosi: imprimeva da subito alla Chiesa alifano-caiatina il sigillo di un uomo non proiettato su se stesso, ma proteso sulla Comunità e sugli ultimi, su tanti senza nome.
L’arrivo in Piazza Vescovado fu accolto dal suono delle campane della Cattedrale; il nuovo Pastore entrò commuovendosi alla vista di una chiesa colma di fedeli, mentre centinaia di altri erano rimasti all’estero a seguire la celebrazione dal maxischermo.
Benedisse i presenti, salutò i disabili ai primi posti, poi fu il momento della Messa a cui presero parte come concelebranti il vescovo mons. Farina. il vescovo Tommaso Caputo all’epoca Nunzio apostolico a Malta (oggi arcivescovo-prelato di Pompei), l’arcivescovo mons. Francesco Gioia delegato pontificio per la Basilica di Sant’Antonio da Padova e presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem; il vescovo di Ischia Mons. Filippo Strofaldi.
Nella solenne Concelebrazione, la lettura della Bolla di nomina da parte del Cancelliere vescovile don Domenico Iannotta e la consegna del pastorale da parte di Mons. Farina a Mons. Di Cerbo, segnavano il procedere della Storia; non si arrestava il cammino di questa Chiesa, ma ero sospinto in avanti verso un tempo nuovo di cui si sognavano progetti di unità, di formazione, di rinnovato vento dello Spirito ad accendere e ravvivare l’anima di questo popolo: trama fitta di laboriosità, creatività, tradizione, generosità, disponibilità alla parola di Dio, devozione, spiritualità.
Quella paternità, il desiderio di essere pastore ed educatore, quella gioia che racchiudeva più del senso stesso celebrativo e momentaneo, si palesò nelle parole pronunciate dal vescovo Valentino durante l’omelia: «Da quando ho ricevuto la nomina a vostro Vescovo ho sentito un amore struggente per voi, che mi ha reso impaziente e che mi ha portato a venire con sollecitudine tra voi, sull’esempio di Maria, che, come ci ricorda il Vangelo di Luca, ricevuto l’annuncio dell’Angelo, si reca in fretta dalla cugina Elisabetta, insegnandoci che non possiamo mai indugiare quando dobbiamo recare Cristo ai Fratelli». Erano parole che racchiudevano il significato dell’azione pastorale concretizzata nei nove anni successivi: l’urgenza di essere per i fratelli annunciatore instancabile e senza condizionamenti, coinvolto dal Vangelo di Cristo e dalla fretta di annunciarlo e viverlo nella condivisione (scarica il testo integrale dell’omelia).
La festa proseguì a Piedimonte Matese, nuova città di residenza del Vescovo. A Porta Vallata, vi fu l’accoglienza delle autorità civili e la consegna delle chiavi della città capoluogo del Matese. Qui si alternarono i saluti del sindaco Avv. Vincenzo Cappello, del Presidente della Comunità montana del Matese, dott. Fabrizio Pepe e di don Salvatore Zappulo il più anziano tra i parroci di Piedimonte. Ancora un corteo festante si mosse per accompagnare mons. Di Cerbo presso l’Episcopio nel quartiere Vallata percorrendo via Scorciarini Coppola, ancora una volta tra l’omaggio dei residenti.
Due soste in preghiera: la prima presso la chiesa del monastero San Benedetto accolto dalle Monache e quella successiva presso il Santuario mariano di Ave Gratia Plena, affidando alla Vergine il nuovo cammino, personale e di condivisione con la Diocesi.
L’ingresso in episcopio fu segnato da ancora tanta emozione: il Vescovo accedeva alla sua nuova casa, percorreva i corridoi che di lì a pochi giorni sarebbero diventati gli spazi di incontri quotidiani con la gente, con i collaboratori della Curia diocesana, con i sacerdoti.
Le luci accese del palazzo, il vociare, l’andirivieni di presenze, il momento conviviale organizzato per un brindisi, rappresentavano l’ultimo atto di una giornata incisa per sempre nella storia, nella carne.
Nel pomeriggio del giorno seguente Mons. Di Cerbo volle subito recarsi a Caiazzo dove ancora una volta fu accolto con festa dalla Comunità locale, dal primo cittadino Stefano Giaquinto, dal parroco della Chiesa Concattedrale don Antonio Chichierchia e dal Clero caiatino. Qui pregò all’altare di Santo Stefano Menicillo, suo predecessore nella sede caiatina, poi celebrò l’Eucarestia.
Perche’ la vita di un sacerdote, anche se divenuto vescovo, inizia cosi’: spezzando il pane.
Fu questo dunque il primo capitolo che la storia della diocesi di Alife-Caiazzo scriveva con il Vescovo Valentino, il prete venuto da Roma, che pochi giorni dopo il suo stabilirsi in Episcopio, scese a passeggiare giu’ in strada in cerca di una cartoleria e dell’Ufficio postale. E camminando si presentava, stringeva mani e carezzava volti con l’antico gesto della benedizione.
Marianna Pece