Sono rimasto perplesso di fronte alla reazione della Segreteria della CEI circa le recenti disposizioni governative sulla riapertura delle Chiese e sulla celebrazione dei riti comunitari (26 aprile). Mi sarei aspettato che si volasse più alto, anche per non confondersi con certe reazioni truculente di qualche Vescovo dell’Italia centrale o di qualche giovane prete “accreditato” del Nord, dal sapore vittimistico, che sembrano rivendicare ancora i “diritti” di una Chiesa–sole, di fronte ad una Stato-luna, senza accorgersi che sono passati sette secoli dalle dispute dei tempi di Dante Alighieri…
Perplessità che ho poi ritrovato nei commenti – bene argomentati – di sacerdoti e laici di tutta Italia.
Tale disorientamento si rafforza di fronte alle recenti disposizioni su funerali….
Il coronavirus è una esperienza terribile che ci mette ogni giorno di fronte alla sofferenza, alle paure e alla fragilità di tanti fratelli, ma, come cristiani non dobbiamo lasciarci trascinare dalla deriva, avvilirci e cercare ad ogni costo nemici da combattere e protestare per presunte rilevanze perdute, come “quelli che non hanno speranza”. E leggere in questa vicenda quei “segni dei tempi” che ci aiutano a ripartire e a capire quale opportunità di bene anche questo male ci può offrire.
Penso che di fronte all’individualismo arrogante e diffuso della cultura contemporanea, che coinvolge le singole persone, la politica e anche gli Stati, questa pandemia ci ha fatto scoprire, come spesso viene ripetuto, che “nessuno si salva da solo!”, che siamo un’unica umanità, che la vita degli altri dipende dalla mia e viceversa.
Una grande lezione di vita che ci porta a constatare la prevalenza del noi sull’io, del bene comune sul bene individuale, della comunione sui conflitti… Infatti, è proprio dalla generosità di tante belle persone che si stanno mobilitando, che dipende la vita dei malati e dei più poveri. Spero che tanti si rendano conto della inutilità della corsa agli armamenti e della costruzione dei muri o della insostenibilità di certi primati (di una razza o di una nazione sui diversi).
Ma questa pandemia ritengo che possa essere ricca di promesse anche per i credenti. Si sta facendo una lagna vergognosa sui cristiani che non possono andare a Messa, ma penso che mai come in questo tempo i cristiani e i tiepidi stiano scoprendo un senso diverso di Dio e della fede: lo dimostrano i milioni di telespettatori che hanno seguito la celebrazione del 27 marzo in S. Pietro (in quella sera la Città di Roma era dominata da un silenzio assoluto), che partecipano alle varie iniziative di preghiera trasmesse per tv, che seguono quotidianamente la Messa del Papa…, che penso siano molto di più dei praticanti abituali.
Ma poi questa pandemia ha costretto i sacerdoti e le parrocchie ad uscire da una pratica religiosa scontata, a “vivere la Messa” (cioè a donare la vita per i fratelli, come Gesù), più che a moltiplicare le messe, che per molti partecipanti rappresentano (ahimé!) abitudini cariche di individualismo e lontane dalla grandezza del radunarsi per “spezzare il pane” e costruire l’umanità nuova che nasce dalla Pasqua del Signore. Vedo, inoltre, che il saltare del tran tran ordinario sta stimolando in molti parroci e parrocchie, oltre alla bella mobilitazione per i poveri, una creatività mai vista in precedenza e un nuovo approccio ai Media e quindi ai nuovi modi di pensare e di vivere della gente, disattesi fino a poco tempo fa (seppur con qualche eccesso…).
Quanto alla irrilevanza della Chiesa, che le disposizioni governative affermerebbero, mi sembra che quelle disposizioni dicano proprio il contrario. Infatti, a quale governo “laico” interesserebbe una Chiesa isolata e poco frequentata? Invece, quelle disposizioni ancora restrittive per le celebrazioni ecclesiali, testimoniano proprio la rilevanza del cattolicesimo italiano e la sua riconosciuta capacità di aggregare grandi numeri.
+ don Valentino