Basilica Santa Maria Maggiore, Piedimonte Matese
Omelia in occasione della solennità dell’Epifania, 6 gennaio 2011
I magi venuti dall’Oriente per adorare il Bambino Gesù e offrirgli oro, incenso e mirra, la stella che guida i misteriosi personaggi a Betlemme, il turbamento di Erode e la sua richiesta sleale e cinica, il ritorno dei Magi nel loro paese, evitando Gerusalemme… Questi elementi, presenti nel brano evangelico appena ascoltato, rielaborati a livello popolare, rischiano di offuscare l’importanza della festa odierna, che, dopo il manifestarsi del Bambino ai pastori nella notte santa, celebra quello con persone provenienti dal mondo pagano. L’evento è di tale importanza, che la tradizione cristiana ha riservato solo ad esso il nome di Epifania/manifestazione.
San Matteo, che nel suo Vangelo ha presente la comunità dei convertiti dal giudaismo, è il solo a riferire l’episodio, che appare subito come un fatto sconvolgente e un messaggio straordinario: il Salvatore nato a Betlemme, il Messia atteso da secoli, nel quale Dio ha rivelato la sua tenerezza ed il suo amore per gli uomini, non è venuto soltanto per il popolo giudaico, ma appartiene a tutti, anche ai pagani. D’ora in avanti non sarà più la Legge di Mosè e l’inserimento nel popolo ebraico a garantire la salvezza, ma la fede in Gesù Cristo, nel quale i “lontani” (i pagani) sono diventati “vicini”, perché “egli è … la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva” (Ef. 2, 13-14).
Il carattere sorprendente della notizia, emerge anche dalle reazioni all’annuncio della nascita del Bambino, riportate da san Matteo: sono pieni di entusiasmo e di gioia i magi, che, esclusi dalla prima Alleanza, si mettono in cammino verso il Bambino; sono turbati, invece, quanti, come Erode, i capi dei sacerdoti, gli scribi “e tutta Gerusalemme”, ritengono il proprio status spirituale o materiale un privilegio da difendere. Essi, pertanto, all’udire dai magi, pagani la notizia della nascita del Messia a Betlemme, rimangono sconvolti di fronte al mistero di un Dio più grande del cuore dell’uomo, che, come ci ricorda san Paolo, ha voluto chiamare tutte le genti “in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3, 6).
La festa dell’Epifania è ricca di messaggi per noi cristiani. Ricorda che la fede non è adesione ad una verità astratta, ma ad una persona, Gesù; è risposta alla chiamata divina, cammino verso la luce, ricerca continua; è lasciarsi condurre dal Signore, accogliendo i segni della sua presenza: le tante “stelle” che egli dissemina nella nostra vita. Essa ci invita, altresì, a non circoscrivere Dio nei nostri piccoli schemi e ad affermare la nostra identità di credenti, non come privilegio, ma come dono da testimoniare con gioia ai fratelli perché anch’essi siano partecipi della salvezza recata da Cristo. Ci chiede, inoltre, di superare un certo atteggiamento prevenuto di fronte ai mutamenti del tempo presente e alle conseguenze nella mentalità corrente e a non abbandonarci ad un pessimismo, che talora porta a considerare il messaggio evangelico quasi incompatibile e privo di significato per tanti nostri contemporanei. La vicenda dei santi Magi, che forse nessuno pensava interessati al Messia di Israele, ci deve, invece, rendere umili e attenti di fronte ai modi di pensare di tanti uomini e donne del nostro tempo, che pure appaiono così lontani dalla fede cristiana, ma che forse, tra indifferenza, rifiuti e dubbi, nascondono un’attesa struggente del Salvatore e chiedono ancora ai credenti: “”Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?… siamo venuti ad adorarlo (Mt2,2).
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore è su di te” (Is 60,1) dice il profeta Isaia a Gerusalemme. E’ un invito rivolto alla Chiesa ed ai Cristiani: ricorda loro la responsabilità nei confronti dell’annuncio del Vangelo. Invochiamo l’intercessione della Madre di Gesù e dei santi Magi, perché di fronte “alle tenebre che ricoprono [anche oggi] la terra”, noi cristiani possiamo vivere con gioia e senza paura la nostra fede e testimoniarla con gesti concreti di amore e di comprensione, per essere luce per i nostri contemporanei e protagonisti della costruzione della civiltà dell’amore.