Il recente dibattito sul celibato sacerdotale suscitato dal Sinodo sull’Amazzonia, mi ha fatto concentrare sul senso e la bellezza della paternità del Sacerdote, anche perché in questi mesi da pensionato molti mi chiedono se mi sento solo.
Queste domande abbastanza frequenti, mi hanno portato a riflettere sulla solitudine del prete e a convincermi che essa emerge quando il celibato è vissuto come “scapolato”, mentre è sconosciuta a chi vive l’essere celibe come un’opportunità più grande per essere padre.
Il problema sta tutto qui. Mi piace perciò condividere queste riflessioni sulla mia esperienza personale più che cinquantennale e su quella dei tanti Confratelli incontrati, come pure su certi stili di vita sacerdotale e sul loro esito, diverso a seconda che il prete vive il dono del celibato come apertura alla paternità o come individualistica difesa dei propri spazi, tipica di una vita da scapolo.
Chi è il prete/padre? Chi è il prete/scapolo?
Scapolo è il prete narciso, concentrato sui suoi bisogni di affermarsi, di ottenere consenso, di sentirsi apprezzato e osannato dalla gente.
Scapolo è il prete preoccupato di “fare carriera”, che è a caccia di incarichi e di titoli accademici per vantarsi o per sentirsi superiore agli altri, non per servire meglio.
Scapolo è il prete che non ama stare tra la gente, che non si appassiona alle loro storie e alle loro sofferenze, che non si impegna per risolverle, che preferisce incontri pubblici e formali a quelli privati, che non abita nella casa canonica o in parrocchia, ma ci va ogni tanto per “prestare servizi” come un impiegato o che dice che è sempre stanco anche quando compie solo un po’ del proprio dovere e, in nome di quella stanchezza, organizza vacanze ed evasioni, in barba a tanti parrocchiani che quotidianamente fanno lunghi viaggi per raggiungere il posto di lavoro, che si fanno in quattro per crescere i figli, che accettano mansioni durissime (e spesso mal pagate) per “portare il pane a casa”, che vivono periodi massacranti quando una persona di famiglia si ammala…
Scapolo è il prete che considera diritti inalienabili la realizzazione di certi hobbies personali (la frequentazione di bar e ristoranti alla moda, la partecipazione abituale a concerti, spettacolo teatrali, cinema, manifestazioni sportive…, belle macchine o oggetti preziosi o ultratecnologici, la partecipazione a Convegni di ogni genere che lo porta a girare per il mondo, a mostrarsi, a creare conoscenze e legami personalmente vantaggiosi o ad essere alla moda, senza nessun riferimento o beneficio concreto per la propria comunità …).
Scapolo è il prete che parla di preghiera, ma che non prega, che organizza kermesse oranti, ma non coglie con gioia le occasioni per mettersi da solo faccia a faccia con il Signore, limitandosi a celebrare riti frettolosi o maniacalmente perfetti, ma senz’anima, e a predicare senza prepararsi oppure, come un professore, esibendo erudizione o cercando frasi ad effetto, che gli procurano plausi e consensi quando entra in sagrestia dopo la Messa….
Padre, invece, è il prete che non evade dalla sue responsabilità, ma sta volentieri tra la gente, “al chiodo”, che è sempre reperibile, che celebra i sacramenti con la passione di chi sa che sono vie per far fiorire umanità alternative e rapporti fraterni, che fa della predicazione un’occasione per mettersi in ascolto di Dio e per interrogarsi umilmente davanti ai fratelli sulla sua fede e sulla sua fedeltà al Signore e per trasmettere entusiasmo e forza per essere uomini e donne secondo il Vangelo.
Quando predica, il prete/padre non è mai catastrofista: vede prima il bene e poi i problemi. Per lui la Parola non invita mai alla rassegnazione e non è mai soltanto consolatoria, ma stimola a guardare al positivo per costruire il nuovo di Dio. Padre è colui che ha il terrore di essere fariseo giudicante, ma si sente sempre alla ricerca per capire i fratelli e servirli nel modo più adeguato, soprattutto se giovani..
Padre è il prete che non si defila mai dai drammi delle persone che incontra, che non alza mai le spalle e non “si volta dall’altra parte” e, quando non può far nulla, fa percepire il dolore di sentirsi impotente e la disponibilità a mobilitarsi sempre per alleviare un dolore e suscitare un sorriso.
Padre è il prete che condivide i momenti di festa e di dolore della gente, che non si comporta mai da funzionario, quando accosta la vita delle persone.
Padre è il prete che si preoccupa di far acquisire ai fedeli la mentalità di fede, che – credendo che Gesù è la grande opportunità per vivere da uomini e donne autentiche – si spende con grande passione per la formazione dei giovani e degli adulti, che educa con l’esempio ad uno stile di vita sobrio e sincero, ispirato al Vangelo.
Padre è il prete che non riserva spazi di tempo per sé, ma sente che la sua vita e le sue energie sono tutte per gli altri, perché ha donato la sua vita totalmente al Signore e si sente a disagio quando pensa a sé, prescindendo dagli altri.
Padre è il prete che non è mai stanco, quando si tratta di impegnarsi nel ministero, che non si mette in competizione con gli altri, non crea conflitti, ma si spende per ricomporli; che non fa della pastorale un’occasione per emergere, non è geloso dei successi altrui, ma sta vicino ai confratelli per aiutarli a migliorare il loro ministero, offrendo loro soluzioni o metodi che ha sperimentato e le sue capacità.
Padre è il prete che pensa nella logica del Noi e non in quella dell’io e in questa prospettiva obbedisce al Vescovo e alla Chiesa…
La gente, anche se talora rimane affascinata dalle trovate pastorali di qualcuno, alla fine percepisce se ha davanti un prete/padre o un prete/scapolo. Soprattutto quando gli anni passano e le forze (e il potere) vengono a mancare.
Ma proprio nel momento della debolezza, l’essere vissuto celibe appare al prete come la grande fortuna di aver potuto amare tanti senza se e senza ma.., di essersi potuto donare totalmente a tanti volti che grazie al dono della sua vita sono diventati migliori almeno un po’ e di continuare a esercitare nella preghiera la propria stupenda paternità, talora soltanto con il grande rammarico di non averla sempre vissuta totalmente.
+ don Valentino