Spesso mi viene da pensare alla vita dei miei preti e a passarli in rassegna, uno ad uno, soprattutto nella preghiera e in momenti di riflessione. Talora mi viene la curiosità di conoscere il motivo della serenità e dell’entusiasmo di alcuni di loro, che passano la loro vita in piccole parrocchie di montagna o a provvedere da soli – anche quando le forze vanno scemando – a parrocchie grandi e difficili, o che dopo anni di ministero hanno dovuto lasciare comunità bellissime nelle quali hanno profuso l’entusiasmo della loro fede e della loro umanità, per obbedienza o per iniziare quel periodo della vita, che Giovanni Paolo II ha definito l’età della saggezza, senza perdere la voglia di donarsi e di servire il Signore.
Penso ad altri che i talenti ricevuti dal Signore avrebbero potuto portare a posizioni di prestigio mondano, ma che si sono appassionati al loro ministero, alla gente e alla sorte dei piccoli e dei poveri e hanno lasciato tutto, mettendo da parte altre aspirazioni. Non hanno rivendicazioni, non accampano diritti da dipendenti pubblici o privati: sanno di far parte non di un’azienda ma di una grande e bella famiglia, la Chiesa; non usano mai la parola comandare e si mostrano ironici di fronte ad elogi o riconoscimenti, perché sono consapevoli che è la fedeltà alla missione ricevuta che dà valore alla loro vita, non eventuali carriere. Noto nel loro rispetto per il Vescovo, assenza di piaggeria e nelle loro osservazioni, anche critiche, amore vero, lealtà e coraggio di esporsi per servire meglio la Chiesa. La loro vita si concentra sulla parrocchia e sul ministero. Se ne allontanano poco e soltanto per ricaricarsi spiritualmente e per servire meglio le comunità e il progetto di Dio. Guardando alla fatica della gente, sono pudichi nel ritagliarsi periodi di ferie e frequenti momenti di riposo. Anche nelle poche uscite dai confini parrocchiali talvolta si muovono insieme alla gente, perché sanno di essere per loro. Non perdono tempo, non sciupano le loro giornate, abbandonando i doveri del ministero, per crearsi reti di protezione o stabilire alleanze ambigue anche con i politici, in vista di favori che accrescono il loro prestigio mondano nei confronti delle persone. Più che autoritari, aspirano ad essere vicini a chi è ferito e autorevoli con la propria vita. Si preoccupano che i parrocchiani divengano discepoli di Gesù e non del prete.
Non bazzicano gli ampi corridoi della Curia Romana o ambienti clericali, alla ricerca di protettori o di gossip ecclesiastici, nell’illusione di acquisire prestigio presso il vescovo e i confratelli.
Vivono una povertà dignitosa, senza fronzoli inutili.
Si mostrano spesso insoddisfatti del loro operato e addolorati perché la gente non trova, nel seguire Gesù, la via di una umanità ricca di prospettive alte. Hanno timore che i loro comportamenti possano ostacolare l’incontro dei fedeli con il Signore. Si sentono a disagio nel limitare il proprio ruolo a rappresentare l’istituzione o ad atti liturgici frettolosi, che esaltano il loro essere funzionari e non la loro missione di apostoli di Gesù Cristo, di servi della Parola, di fermento evangelico delle proprie comunità. Vogliono essere solo e innanzitutto questo, nonostante i loro limiti e le loro fragilità, senza diventare giudici impietosi dei fratelli. Il loro rapporto col denaro è sereno. Sanno che un insano legame con i soldi (come con il potere) nullifica e umilia il loro sacerdozio e fa perdere la gioia di essere chiamati. Sono convinti, che un prete è felice non perché si fa temere, perché sa gestire miseri ricatti o perché è ricco, ma perché è consapevole di essere associato alla missione di Gesù, con altri fratelli e nella Chiesa. Perciò vive la dimensione della gratitudine, si impegna tenacemente a tessere buoni rapporti con i Confratelli e “perde tempo” a pregare, in solitudine e con la gente.
Desidero dire grazie a questi sacerdoti della Diocesi che il Signore mi ha affidato come preziosi collaboratori!
La loro testimonianza mi aiuta anche a sollevare e correggere chi cerca la propria affermazione contro e fuori della comunione fraterna. Posso loro assicurare che è bello essere Vescovo con loro e per loro!
Da Clarus, ottobre n.9-2013