Ritornano i giorni santi della Pasqua del Signore. La Chiesa è chiamata ad immergersi in quel mistero di amore e di dolore dal quale l’uomo rinasce a vita nuova e recupera la sua dignità, la sua bellezza e la sua grandezza vera, quella che pensa e progetta per lui il Signore. A Pasqua, il discepolo di Cristo sente che la morte, con il codazzo dei suoi alleati – violenza, odio, egoismo, i peccati che inquinano la nostra vita e i rapporti con i fratelli… -, non sono più i signori della storia, ma sono stati sconfitti e sepolti in quel mare d’amore che sgorga dalla vita e dalla Croce di Cristo, il vincitore e l’uomo nuovo, che solo può restituire ai propri simili il destino, a loro riservato dalla premura amorevole del Creatore.
Nel nostro contesto, non sempre riusciamo a cogliere la novità della Pasqua, che rimane una festa, di importanza fondamentale per la Chiesa, ma è vissuta dalla nostra gente quasi come una ricorrenza di secondo rango rispetto al Natale, perché alla tenerezza di una nascita sostituisce la serietà angosciante della sofferenza e della morte. Lo stesso modo di avvicinarsi alla Pasqua, poi, risulta talora riduttivo rispetto al suo significato ed alla sua carica “esplosiva”. Infatti, tutta la pietà popolare legata alle feste pasquali è concentrata a suscitare compassione nei confronti del Cristo sofferente, a considerare le sue piaghe, i suoi tormenti interiori e a provocare sensi di colpa in chi si ferma a contemplarlo. A tanto ci spingono, secondo la vulgata prevalente, i nostri Crocifissi bellissimi, le scene e i testi della Via Crucis, le varie rappresentazioni sacre sorte intorno al Mistero pasquale, che sembrano ammonirci: «È colpa tua se Gesù ha sofferto e soffre. Non peccare, convertiti e non farlo soffrire più». Tutto si concentra in un rapporto personale tra Cristo e l’uomo peccatore ed alimenta una fede individualistica, dove la conversione è tornare ad essere “buono”, evitando i peccati che sporcano l’anima, fanno soffrire Gesù e ci allontanano dalla salvezza futura. Una tale visione della Pasqua non è percepita come una “buona notizia” dai nostri contemporanei e incide solo marginalmente nella loro vita. Preoccupata di alimentare buoni sentimenti, essa non fa passare il messaggio autentico della Morte e della Resurrezione del Signore.
Pasqua, infatti, non vuole suscitare in noi compassione intimistica, ma scelte.
La morte di Gesù, infatti, è conseguenza delle sue scelte. Gesù non muore per caso, ma decide liberamente di andare a Gerusalemme, la città dominata da logiche alternative alla sua dedizione alla causa di Dio e dell’uomo, la città che gli farà “pagare” la sua fede nel primato della persona e nella uguaglianza tra gli uomini; la sua concezione (“eucaristica”) della vita come dono da spendere per i fratelli; il suo rifiuto di una religione ipocrita, che si serve di Dio e non serve il progetto di Dio sull’uomo e del potere come sopraffazione del proprio simile; il suo distacco dall’idolo della ricchezza; il suo amore per i poveri e gli emarginati…
Queste scelte si rivelano nella vita di Gesù sin dall’inizio. L’esito della sua esistenza è la conseguenza di tali opzioni, che egli non ha mai rinnegato, anzi ha voluto “fino alla fine”. Coloro che lo condannano e lo uccidono mettono in luce quanto negativo sia per l’uomo il comportamento di chi, ieri come oggi, mette al primo posto il potere, il denaro, i propri interessi e quale risultati mortiferi possono avere le nostre scelte, quando assomigliano a quelle di Pilato, di Erode, dei Sommi sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, degli Scribi e dei Farisei.
Inoltre, il Crocifisso ci provoca sulla nostra collocazione: nel nostro modo abituale di comportarci, siamo dalla parte di Gesù o dei suoi nemici? Come discepoli del Signore, inoltre, a Pasqua siamo invitati a guardare dentro e oltre le immagini del Crocifisso, gli umiliati e i sofferenti della terra: uomini e donne senza diritti, scippati dai loro sogni e schiacciati dalla nostra colpevole indifferenza, dai nostri compromessi, dalle “reti di protezione sociali” o familiari che ci fanno prevaricare le loro giuste attese.
Facendo risorgere dai morti il Figlio, che ha donato la sua vita per riscattare la sorte e la dignità dei fratelli, il Padre ci dice da che parte sta il bene ed il futuro dell’uomo.
Nel suo viaggio a Lampedusa, Papa Francesco ha denunciato l’incapacità delle nostre società di commuoverci di fronte alle tragedie degli immigrati e dei poveri del nostro tempo. Ecco, per il cristiano celebrare la Pasqua significa riacquistare questo atteggiamento amorevole, responsabile e misericordioso verso il prossimo, specialmente verso i piccoli e gli umili, nel cui volto è presente il Crocifisso, e impegnarsi sull’esempio del Maestro a rendere i nostri contesti quotidiani più giusti, fraterni e solidali, anche a costo di rinunce e sacrifici. Come una madre, che soffre per dare al vita alla persona che ama.
E’ qui che ci vuole portare la Pasqua: a far risorgere il nostro mondo di uomini attraverso scelte, anche sofferte, che danno vita e rendono l’umanità più bella e più ospitale, perché più vicina a quei sogni di Dio, che nella vita e sulla croce Gesù ha fatto propri.
Da Clarus, Aprile n.4-2014